Odio l'hip-hop. Non tanto per una motivazione specifica, ma per mancanza di feeling.

Non ho mai capito l'esuberanza di certi individui di fronte a rime sparse sulle solite, vecchie basi: le solite cose dutudun dutudun, per intenderci, rumori orali compresi. Non mi è mai piaciuta una canzone rappofila, o almeno finchè "Arular" mi è passato tra le mani e mi resi conto che ciò che odiavo era il rap mainstream, quello patinato. L'orrendo hip-hop/R'n'b di gentaglia come Ne-Yo, 50Cent, Eminem e compagnia varia, per intenderci.

M.I.A., invece, è l'emblema di un genere a sé stante. Lontano da ciò che si ascolta  abitualmente in radio, perchè troppo originale, troppo ardita, troppo grezza e sporca per piacere alla massa di perfetti ignoranti ingozzati a pane e Gigi D'Alessio (brividi freddi d'orrore). "Arular" è un caleidoscopio alternative-electro-rap, che non appena viene inserito nel lettore stupra il cervello.
Da dove vengono questi suoni, questi colori, queste voci sgozzate che irradiano la mia stanza? Dallo stereo escono note sbarazzine, ma struggenti. E' l'epitaffio di un pregiudizio che ha il gusto di una tavolozza distrutta dal colore. 

M.I.A. riesce a dare un senso anche alle brevissime skit, (non)canzoni che ho sempre trovato inutili e poco coerenti, ma che qui assumono il ruolo di sottile filo rosso tra una parte del disco e l'altra e si rivelano, per una volta, piacevoli e non manciate di secondi di vita perduti per sempre. 

Ritmi sbilenchi, esplosioni di suoni che irradiano, battiti duri e crudi, voci sgraziate quanto affascinanti. Più i brani passano e più mi accorgo che "Arular" si tratti di un gioiellino, un gioiellino da ripescare e difficilmente comprimibile in un solo genere. Alternative, grime, elettronica, hip-hop, pop sperimentale: ogni brano contiene la fusione di mille sensazioni ed emozioni e le presenta in modo scanzonato e immagnifico.

Cosa dire di una sincopatica "Pull Up The People"? Elettronica spezzata e canto energico, che subito cattura e ti ritrovi subito tra un battito e l'altro, perso nel distruttivo ed esplosivo ensemble di vulcaniche trepidazioni. O ancora la straordinaria "Bucky Done Gun", argutamente scelta come primo singolo e vertice della danza: trombe impazzite, ritmiche schizzate e caraibiche, ritornello accattivante e selvaggio.

"Sunshowers" è minimalista, cattiva, imperfetta ma perfettamente distruttiva e si rivela efficace nel suo scanzonato ritornello quasi arioso ed ubriaco, ma M.I.A. si rivela ancora più incisiva nella sospesa "Hombre", un diamante incastonato da richiami folkloristici e seduzioni electro. E poi ci sono "Galang", seducente viaggio nella docile cattiveria che morde ogni pensiero ludico, la ringhiosa "Bingo", la teatrale curva di spigolosi ritmi dell'inno "Fire, Fire" e "10 Dollars", viaggio di pulsioni electroclash che esplodono in vortici di piccoli battiti e versi grezzi. 

Un disco inspiegabile, tanto efficace quanto devastante, formato da canzoni sbilenche, aspre e feroci da spezzarvi il cuore.

Una sincera quanto spiazzante rivelazione. 

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