Funny Games è il lavoro con cui Michael Haneke, geniale regista austriaco, si è fatto conoscere ai più, irrompendo al Festival di Cannes (anno 1997, credo) con questo film crudele e perfetto. Una pellicola gelida, costruita su una serie di dettagli e simbolismi con cui l'autore costruisce una parabola di agghiacciante e insensata (apparentemente) violenza. Violenza che non è mai realmente esibita, mai pulp, ma palpabile come in pochi altri film. La trama è scarna, ma il film, anche nei suoi lunghi silenzi e vuoti, è in qualche modo "carico".
L'incipit è emblematico. Vediamo un automobile, ripresa dall'alto, correre tra strade che tagliano grandi spazi verdi, con una barca agganciata. Poi viene esaminato l'interno della vettura. Classica famiglia borghese, madre, padre, figlioletto e cane, che sprizza serenità e benessere da tutti i pori. Presumibilmente si stanno recando in vacanza. Per passare il tempo che li separa dalla meta i tre si dilettano con l'autoradio in cui vengono inseriti cd, rigorosamente di musica classica e ciascuno a turno deve indovinare di che area o sinfonia si tratti. Un passatempo per palati fini, ad appannaggio esclusivo di una borghesia che può non essere che benestante, colta e raffinata. All'improvviso il dialogo della lieta famigliola non è più udibile allo spettatore, coperto da una sfuriata di batteria e chitarre elettriche (Firmata John Zorn e "Naked city"). Ma loro non lo sanno. Continuano a parlare, lo spettatore lo scorge dagli imperturbabili volti e dal loro labiale. La metafora è chiara. Presto qualcosa irromperà nella loro armonia istituzionalizzate, spazzerà via tutto di loro, del loro ordine senza alcun preavviso. Eccoli arrivati nella piacevole placidità della campagna vicino al lago, dove probabilmente hanno la loro casa per le vacanze. Il pater familiae accosta la macchina accanto al cancello di alcuni vicini di villa. Il padrone di casa sembra impegnato con un giovane, sconosciuto ai nostri. Hanno un breve e insignificante scambio di convenevoli, poi la macchina riparte. "Sarà un nipote..." dice la madre e moglie a proposito dell'ignota presenza, notata e sottovalutata dai due coniugi. Lo spettatore capirà solo nel corso del film, che questa apparentemente asettica scena sarà essenziale per descrivere il cerchio di dolore e umana sopraffazione che il regista sta disegnando per noi. Più tardi i nostri sono in casa, la donna prepara la cena, probabilmente avranno ospiti. Alla porta si presenta un giovanotto grassoccio, grottescamente impacciato. Si annuncia come un amico dei loro vicini, vorrebbe delle uova. La donna più per formalità che per autentica cortesia esaudisce la richiesta del ragazzo sempre più goffo e sudaticcio. Come prevedibile a questo punto l'ospite dalla mano tremula dopo pochi secondi spiaccica a terra la busta, preparata apposta per lui, con tutto il suo contenuto. Forse dovrebbe rinunciare, ma insiste affinchè la signora, ormai visibilmente seccata, gli dia altre uova. Il giovane continua a far pasticci, adesso fa finire maldestramente il cordless nel lavello, danneggiandolo irreparabilmente. Attenzione a questo particolare, tornerà decisivo quando i nostri amici saranno assediati in casa loro, usurpati del loro territorio. Ora si presenta alla porta, mentre l'imbranatissimo ragazzo è ancora in casa, il giovane avvistato prima dal padre di famiglia nella villa dei vicini. Ambedue i giovani hanno una sobria tenuta sportiva, con maglia, calzoncini e guanti bianchi. L'ultimo arrivato è più snello e sicuro, ha una faccia pulita e modi garbati. Sembrano una coppia di maggiordomi, ma in realtà saranno loro a far partire il "funny game" che prevede la lenta messa a morte della famiglia, attraverso una calma tortura psico fisica. La scopo del gioco è presto svelato, i tre componenti della famiglia dovranno essere morti nel giro di 24 ore. Ma il procedimento di annichilimento delle loro persone dovrà essere progressivo e impeccabile.
Il film ha diversi e voluti punti interrogativi. Qual'è lo scopo, la natura e il processo che ha portato i due ragazzi a diventare carnefici della famigliola, non sarà mai esplicato. Ciò accresce l'astrattezza della costruzione del film, che cozza con il freddo e realistico scenario in cui la violenza trova sede. Azzeccato in questo senso è il paragone con "Teorema" di Pasolini, paventato da alcuni critici. In quella storia senza un perchè chiaro e sostenuto da una sceneggiatura logicamente lineare, un ragazzo entrava in una famigliola della borghesia medio-alta spazzandone l'ordine. In quel caso l'arma usata era l'eros, qui è la violenza. Violenza dal sapore un pò kubrickiano, ma se il regista americano costruiva con "Arancia meccanica" un film amplio e arioso nella sua spietatezza, Haneke scrive una storia compressa, ancor più claustrofobica, se possibile. E dove ogni atto di sopraffazione fisica resta fuori campo. Haneke sostiene tutto il film con movimenti di macchina minimali. Anzi spesso l'inquadratura è fissa, come quando si immobilizza sui due genitori imbavagliati e legati, con i due carnefici che si sono allontanati dalla casa. Potrebbero essere salvi a quel punto, sebbene ormai mutilati interiormente da quella assurda esperienza. Ma non sanno reagire, si liberano troppo lentamente, e i due aguzzini si ripresentano dopo un pò, introdotti da una pallina da golf che rotola nella stanza, precedendo la voce di uno dei due, fuori campo: "It's time to play again now". Bene non c'è più scampo. Altro oggetto ricorrente della storia è infatti è il set da golf del padre di cui i due assassini si appropriano all'inizio della loro intrusione. Anche in questo caso la metafora appare piuttosto chiara. Ma i particolari su cui si costruisce questo film, come dicevo, sono numerosi e molto si potrebbe ancora dire volendo fare un'analisi ancora più dettagliata di questa storia. Ma la recensione mi sembra fin qui piuttosto prolissa e non vorrei inoltre svelare altre sorprese a chi non ha avuto ancora modo di vedere questo film. Film che molti hanno amato, altri odiato. A mio avviso un capolavoro sottovalutato, una pellicola che non ha un'inquadratura fuori posto, dove tutto è coerente con un progetto filmico ben preciso e dove tutto vive sulle ali di continue intuizioni registiche. Una curiosità per concludere: l'anno scorso si era parlato dell'intenzione dello stesso Haneke, che ultimamente si è fatto apprezzare con "Niente da nascondere", di girare un remake made in Hollywood, con star internazionali.
Carico i commenti... con calma