Registrato nel ’64, pubblicato l’anno successivo, quest’album è una folgorazione per me, una rivelazione. Dodici “prime canzoni”, ripetitive, imperfette ma pregnanti, semplici, immediate, capaci di essere penetranti, e di non schiodarsi più dalla mente tanto facilmente. Ho appena finito di ascoltarlo e non riesco ancora a credere alle mie orecchie.
Nell’anno di “Highway 61 Revisited”, Hurley dà alle stampe il suo primo lavoro, il cui titolo non crea ambiguità. Sono proprio la semplicità, l’essenzialità, la spontaneità a permeare il sound dell’LP, pubblicato dalla tanto storica quanto leggendaria Folkways Records.
L’artista del Pennsylvania viene dal Greenwich Village, stesso terreno di gioco del ben più fortunato collega, Bob Dylan, che ne rappresenta il nome più illustre. Il genere di Hurley viene, ad oggi, chiamato “outsider folk”, e non a torto. A prova di questo, oltre al sound stesso, la sua discontinuità, che lo porta a scomparire subito dopo il rilascio di “First Songs”. Nonostante l’ombra che pende, per sua volontà, su di lui, Hurley mette il naso fuori di casa, prestando alcuni suoi pezzi agli Holy Modal Rounders (gente per niente freak, eh?). Ribattezzati, sardonicamente, Unholy Modal Rounders, registreranno – a nome “UMR, Michael Hurley, Jeffrey Frederick & The Clamtones” – un album, nel ’76, intitolato “Have Moicy!”, con il punto esclamativo come il celeberrimo “Freak Out!” delle Mothers di Frank Zappa. Più che nel fare musica, Michael è abile nel songwriting, che lo distinguerà tutta la vita, nel contesto underground. Anche gli Youngbloods (quelli di “Get Together” … “come on people now, smile on your brother, everybody get together, try to love one another right now” – mica Kurt Cobain!) accolgono nel proprio repertorio brani tratti da “First Songs”.
Tuttora vivente, e in procinto di compiere gli anni (tra due giorni, il 20 Dicembre, ne avrà 76), Hurley sembra si sia fermato, per ora, nonostante l’anno scorso abbia dato alle stampe il suo ultimo lavoro discografico, “Bad Mr. Mike”, per la Mississippi Records (Peter Buck, dei R.E.M., ha firmato con l’etichetta per tre suoi lavori solistici).
Tornando all’album delle meraviglie, si tratta di una “collezione” di brani davvero magnetici, intrisi nel blues, ossessionanti, perché memori di uno spazio e di un tempo che non ci sono più. Nonostante possa risultare anacronistico, secondo il mio modesto parere “First Songs” è un album innovativo, da panico, che ha il diritto di essere quello che è, ora come allora: la voce del giovanissimo Michael, 22enne, sembra provenire dalle corde vocali di un sessantenne alcolizzato o vittima dei vizi. La sua anima è infestata di spettri, e i testi, tragicomici, malati a tratti, sono eclatanti segnali di una lucida follia, vissuta dall’artista in virtù della sua “inadeguatezza”. “Sister Song” è quanto di più sudista possa esserci, e la scena narrata è resa “cinematograficamente” alla perfezione: l’immedesimazione è completa. “The Tea Song”, altro pezzo forte, fa a pugni con l’ascoltatore, con i lunghi lamenti di Hurley, viscerali e struggenti, che lo sfidano. C’è spazio anche per un brano spoken-word, “Raven Rock – They Took Away The Diesel”.
Solo una chitarra, un violino (?) e il battito di un piede, oltre, indubbiamente, alla voce di Michael fanno di questo LP un capolavoro incommensurabile.
Voto … che ve lo dico a fare?: 10/10
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