Ebbene sì, i Beatles hanno vinto anche l’Oscar. Lo ottennero con questo film nella categoria “Best Original Score” nel 1971. L’Oscar, forse, rese meno amaro lo scioglimento.
Questo film fu un’idea di McCartney. Dopo un periodo difficile alla fine del 1968, di cui parlerà in “Let It Be” (“My Times of Troubles”), Paul, rinato grazie alla sua compagna Linda, andò a trovare i tre compagni, che non avevano più voglia di fare niente (come dice in modo più diplomatico Ian McDonald). Col suo entusiasmo che – nel bene e nel male – non lo abbandonò mai, Paul disse loro: “Ragazzi, non possiamo starcene qui con le mani in mano. Siamo i Beatles!”. Li assillò così tanto che alla fine cedettero. Accettarono il nuovo progetto: un nuovo disco.
Ma l’entusiasmo di Paul non si fermò qui. Gli venne in testa l’idea di fare un film delle prove che avrebbero portato al nuovo album. Col senno di poi, l’idea è geniale; col senno di allora è folle. Non ho mai capito perché gli altri tre accettarono. Le riprese iniziarono in 2 Gennaio 1969. Michael Lindsay Hogg venne scelto come regista.
Il risultato è un capolavoro (di sincerità). Meno di capolavoro non posso proprio definirlo. Si tratta di un testamento davvero schizofrenico (tristissimo e dolcissimo) di una delle più belle collaborazioni della storia della musica – “la nostra triste morte al rallenty” (come disse Lennon). Se fossi un regista, farei un remake di questo film con attori veri. Forse così, questo film potrebbe essere conosciuto da tutti. Per me sarebbe un successo mondiale. La sceneggiatura l’hanno già scritta i Beatles, e come dramma ha pochi eguali.
Se la grandezza di un attore si vede da quanto riesce a “non recitare”, allora i Beatles sono tra i più grandi attori della storia del cinema. Probabilmente Paul pensava che, avendo davanti le telecamere, i 4 si sarebbero comportati come si deve, e non come avevano fatto durante le sessions del “Bianco”. Si sbagliava di grosso. I Beatles ebbero il coraggio di litigare senza nessun ritegno e vergogna – come dei fratellini viziati. Lennon definì le sessioni di “Let It Be” “le più penose mai fatte, un inferno ”; “nessuno di noi era interessato alle prove e nel film si vede”. Se in questo inferno e in questa mancanza di interesse, i Beatles riuscirono a tirare fuori un quasi-capolavoro, questo dice, una volta di più, quanto fu miracolosa la loro unione.
Anche George Martin – uno di quei gentleman inglesi con la bombetta che non dice “ahi” nemmeno quando riceve una martellata sul dito – davanti all’ennesimo litigio selvaggio, alzò la voce: “Basta! Me ne vado! Non voglio più avere nulla a che fare con loro!”. Ringo dirà: “A quel tempo, penso che nessuno ci sopportasse più. Invece di fare canzoni, passavano il tempo in discussioni interminabili. John voleva fare una cosa, Paul un’altra, George un’altra. Era una disintegrazione generale”.
Nel film ci sono momenti molto belli, quando non si litiga ma si suona. Il mio momento preferito è quando John e Paul lavorano ad “I’ve Got a Feeling”. Paul dice a John come fare la progressione con la chitarra. John esegue all’istante. Poi Paul gli dice di abbassare. John capisce subito e Paul fa un cenno con la testa per dire che va bene. Quei due si capivano con uno sguardo. Come disse uno degli ingegneri del suono della EMI: “Quando lavoravano insieme, era come se ognuno sapesse cosa c’era nella mente dell’altro. La loro era telepatia musicale. E noi ne restavamo incantati”.
Purtroppo questi momenti vanno a braccetto coi momenti spiacevoli.
Il primo è il celeberrimo litigio tra Paul e George, appena 4 giorni dopo l’inizio delle riprese. La canzone è “Two of Us”. Paul non è soddisfatto del lavoro di George. Comincia a fare il maestrino e col basso gli indica le note da suonare. George suona l’accordo. Paul continua a parlare troppo, e George gli dice: “Stai insinuando che sono incapace?”. Paul ribatte: “Non sto insinuando nulla.Sei tu che sei strano”. Qualche altra parola, e alla fine il quieto George dice una frase famosa quanto le più celebri canzoni dei Beatles: “OK, suonerò quello che vuoi, o non suonerò nulla, se non vuoi. Farò tutto quello che vuoi”. Ringo viene inquadrato con i suoi occhi tristi. John, che senza telecamere avrebbe probabilmente smorzato la tensione con una battuta delle sue, rimane silenzioso e il suo volto denota dolore. Forse, nonostante i litigi avvenuti negli anni precedenti, non si era mai arrivati a questo. 4 giorni dopo, George disse che aveva deciso di lasciare il gruppo. Questa scena non venne pubblicata nel montaggio finale. George, qualche giorno dopo, tornò suoi suoi passi.
Il secondo momento triste, per me peggiore del precedente, è la registrazione di “Let It Be”. Paul canta al piano e John suona il basso. Gli occhi di John sono pieni di rancore, e lui sfoga la sua rabbia sbagliando volontariamente le note. Ian McDonald, uomo di straordinaria misura, definirà questa azione di John “spaventosa”. Evito di dire come la definirei io …
Il momento più triste, però, rimane quello in cui Paul parla a John (probabilmente su come sviluppare una canzone). John, con la sigaretta al dito, educatamente lo guarda, ma i suoi occhi trasudano disinteresse e quasi disprezzo per Il compagno. John non contava mai fino a dieci prima di parlare, e sapeva essere cattivo e acido come pochi con Paul. Ma questo era un segno di affetto verso l’amico: non si litiga e non si insulta chi non ci interessa. Vederlo così glaciale e razionale dice una cosa sola: a John di Paul non gliene importava più nulla.
Queste tre scene sono filmate, ma questa è roba per educande. Nel montaggio finale, i litigi più selvaggi, con gli insulti volgari, vennero lasciati da parte perché si decise di fare un “film educato”. Ringo e Paul hanno negato l’assenso per la pubblicazione integrale in DVD …
L’ atmosfera si fece così pesante che, dopo una mese, nessuno di loro pensava più a completare il disco, e nessuno di loro pensava più ai Beatles come a un gruppo. Come racconta McCartney nell’Anthology: “Alla fine, qualcuno ebbe l’idea di andare a fare un concerto sul tetto. E poi andarcene tutti a casa”. “Andarcene tutti a casa” significa: annunciare la fine del gruppo.
E venne il celebre concerto sul tetto della Apple a Saville Row. Come disse Ringo: “Quando c’era la musica, le stronzate (gelosie, rancori e litigi) volavano via dalla finestra”. E le stronzate volarono via davvero. Un concerto splendido.
La scena più bella è quando Lennon canta “Don’t Let Me Down”. Alla terza strofa, John dimentica le parole, e dice qualcosa del tipo: “And this abbrai that as and blue jey go”. Ringo scoppia a ridere. Poi John sorride guardando Paul, e Paul ricambia il sorriso. Si volevano ancora bene. È così che li voglio ricordare.
Alla fine dell’ultima canzone “Get Back”, John, che suona davvero molto bene la sua parte, dice: “Voglio ringraziarvi a nome del gruppo, e speriamo di aver superato l’audizione”. E tutti a ridere. È un’audizione durata 7 anni (1962-1969), brillantemente superata. Dopo lo scioglimento.
Ma perché tutti questi litigi e poi lo scioglimento? Gli esperti hanno varie risposte: il folle amore di Lennon per Yoko (“che mi fece capire che i Beatles erano una trappola”, come disse John), e il rancore di George per essere messo sempre da parte (“prima di ascoltare una delle mie canzoni, Paul voleva che ne ascoltassi 59 delle sue”). Ma non era solo questo.
Mark Hertsgaard lo ha capito: “Quei litigi erano anche il loro modo di sfogare la tensione per le terribili pressioni personali che sentivano come Beatles. Ogni loro disco era accolto e celebrato in modo folle da pubblico e critica, e loro si sentivano costretti a fare ogni volta un disco più grande del precedente. Avevano perso la serenità e la gioia nel fare musica”. Come disse George Harrison in una intervista del 1979: “La gente ci diede successo, soldi, e fama. Noi abbiamo dovuto dare alla gente il nostro sistema nervoso. Dovevamo mettere fine a quella follia dei Beatles, per ritrovare lo spazio di respirare, e riacquistare una dimensione più umana”.
Per John (come per George), la fine dei Beatles fu una liberazione. Paul, invece la visse in modo terribile. Come disse in un’intervista del 1990: “Smisi di farmi la barba. Non mi alzavo più dal letto. Se non ci fosse stata Linda sarei finito nell’eroina”. Era molto intelligente e sapeva che, senza la collaborazione dei suoi amici, non avrebbe fatto più nulla al livello delle cose fatte coi Beatles. Come canta profeticamente in “Carry That Weight”, uno dei suoi pezzi più belli:
“Nel mezzo delle celebrazioni sei crollato. Ragazzo, dovrai portare quel peso. Ragazzo, dovrai portare quel peso per tanto tempo”.
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