Come diceva mio padre, amante di calcio e boxe: “Il calcio è uno sport da galantuomini praticato quasi sempre da bifolchi. Il pugilato è uno sport da bifolchi praticato quasi sempre da galantuomini”.
Fare un film su un galantuomo, spesso molto bifolco, come Mohammed Alì è stata una splendida idea di Mann. Se guardo l’idea, devo applaudire; se guardo il risultato, devo dire che mi aspettavo di più. Quello che c’è è ottimo. Il difetto del film è (tutto) quello che manca.
Anzitutto, Will Smith, benché bravissimo, misurato e mai fastidioso, non riesce davvero a catturare il mix di stacanovismo, istrionismo e serietà, crudeltà e dolcezza d’animo, che erano tipiche di Alì.
Nessuna sottolineatura degli allenamenti durissimi (più celebri dei suoi incontri e balletti sul ring) a cui Cassius Clay si sottoponeva, 7 ore al giorno tutti i giorni. Era vera e propria passione maniacale per il pugilato. Comunque, bellissima la scena dell’allenamento all’inizio, dove Will Smith colpisce bene il sacco veloce e salta benissimo la corda, che era il segreto di Mohammed Alì per ballare in quel modo.
Mi aspettavo davvero di più nell’incontro con Sonny Liston. Bella musica, bel lavoro con le telecamere, ma poco a che vedere con il reale incontro, un capolavoro di pazienza, dove Alì pugno dopo pugno si conquistò lentamente la vittoria con uno più forte di lui e del quale aveva paura (quest’ultima ben rappresentata). Ben raccontata la storia della sostanza messa negli occhi.
Will Smith bravo sul ring, ma mi aspettavo di più anche qui. Muove le gambe e lascia fermo il corpo. Ho letto che Smith si allenò per un anno (diverse ore al giorno) per imitare al meglio Clay. Poteva fare di meglio.
Poca enfasi sulla tecnica della “guardia bassa” che Alì usava per costringere l’avversario a scoprirsi, per poi colpirlo a velocità supersonica una volta “trovato il buco”. I colpi che Cassius Clay prendeva alla testa a causa di questa folle tecnica “senza copertura” erano innumerevoli, e sono all’origine del morbo di Parkinson che lo colpì all’inizio degli anni 80. Non si può trascurare un argomento come questo.
Questo film è un film storico, e anche se sa di didascalico e non fa “cool” mettere le date in sovraimpressione, queste sono essenziali. Quello che lascia increduli è il fatto che la data dell’incontro con Sonny Liston viene messa all’inizio; la data della morte di Malcom X (uno degli eventi centrali degli anni 60) no.
Quasi completamente assenti i capolavori compiuti sul ring dal 1964 al 1967. Nemmeno qualche immagine di repertorio, per far rivivere gli anni del trionfo.
Buona la descrizione del periodo buio (dal 1967 al 1970), quando gli fu impedito di boxare. Tuttavia, sembra quasi che Mann voglia sbrigarsela in poche scene per arrivare subito al rientro.
La fine degli anni 60 viene rappresentato solo in qualche scena – come quella con le auto bruciate. Nessun ricordo – con qualche immagine d’epoca – della morte di Bob Kennedy, l’elezione di Nixon, la guerra del Vietnam, le proteste contro questa guerra, e tutti altri importanti eventi che ci avrebbero detto a che punto eravamo. Impossibile pensare che Cassius Clay rimase indifferente a questi eventi, che comunque sono troppo importanti per essere bypassati.
Assurda la mancanza del match con Joe Frazier (8 Marzo 1971), uno dei più bei incontri della storia del pugilato. 15 riprese in cui Clay riuscì a non andare KO contro il campione del mondo, dopo 3 anni senza allenamento vero. Mann lo accenna appena e lo fa sembrare una disfatta per Alì, mentre nei fatti fu una vittoria. Quel match fu un miracolo di resistenza: un altro pugile, con tre anni di inattività contro il campione del mondo, sarebbe finito al tappeto in tre riprese. Si vede che Mann vuole subito arrivare a Foreman.
Eccellente, in alcuni punti, il racconto dell’incontro con Foreman, ma davvero troppo “romanticizzato”. La realtà è molto diversa. Tutti quelli che hanno una piccola conoscenza della storia della boxe, sanno che quell’incontrò fu truccato - anche se Alì prese veri pugni. Le corde furono allentate; solo per questo Clay sopravvisse ai colpi di Foreman. Con le corde tese, Foreman, col suo pugno che quasi rompeva i sacchi, avrebbe ridotto le ossa di Alì in briciole. Inoltre, l’arbitro contò solo fino a 7 (Cf. YOUTUBE) . Qui c’è una mistificazione della realtà. Un grande regista non lo può fare. I film celebrativi e apologetici lasciamoli ai mediocri.
Un peccato non concludere con l’ultimo vero trionfo di Clay, il suo trionfo pulito: l’incontro a Manila con Joe Frazier del 1975. Le ultime riprese sono una delle cose più sconvolgenti mai viste. I due non ce la fanno più, sono distrutti. Si reggono (letteralmente) uno sopra l’altro. Alla fine Clay decide di gettare la spugna, ma un attimo prima Frazier si ritira (cf. YOUTUBE). Entrambi dissero di essere arrivati ad un passo dalla morte. Urinarono sangue per varie settimane dopo l’incontro.
Per concludere, il personaggio trattato è così importante (forse il più grande atleta del XX secolo insieme a Pelé), e la sua storia è così ricca e controversa, che servivano due film, e una maggiore preparazione (sia di Mann che di Smith), per poter fare qualcosa di davvero completo e memorabile. C’è davvero troppo pressapochismo.
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