Sei anni di nulla. Tanti anche per uno come Mann, che le sue pause se le è sempre prese. Un lungo periodo di inattività dopo "Public Enemies". Poi, finalmente, è arrivato "Blackhat": 70 milioni di budget, poco più di 17 incassati, meno di 8 negli USA, critica spietata in patria e non solo. Accolto come una ciofeca, "il primo passo falso dai tempi di The Keep". Insomma, un film nato male, almeno a detta di molti. Poi c'è l'altra "fazione" (poco numerosa a dire il vero), che parla di ennesimo capolavoro. Dove sta la verità? Risposta dolorosamente banale: nel mezzo.
Michael Mann, il Dalai Lama del digitale, è tornato con un cyber-action-crime-thriller-drama dalla storia complessa e filamentosa. Un "black hat" fa esplodere un reattore della centrale nucleare cinese di Chai Wan. Difficile definire il motivo. Ma a questo evento ne segue un altro, opera dello stesso uomo: la Borsa viene messa sotto assedio per far lievitare i prezzi della soia. Questo il nucleo da cui parte la vicenda narrata in "Blackhat", con sceneggiatura a quattro mani dello stesso Mann e di Morgan Davis Foehl. Eccolo, il primo e forse più pesante tasto debole dell'opera: un plot estremamente intricato, spesso indecifrabile, con buchi di sceneggiatura che emergono qua e là. Tanto che verso la fine arriverà un mezzo "spiegone" che è purtroppo fondamentale a chiarire molti aspetti che risultavano frammentari. Ma è anche una sorta di ammissione di colpevolezza, come se quella spiegazione sia servita a dare un senso compiuto ad una storia che fatica a decollare per 2 ore. L'interiorizzazione del dramma, il lato più prettamente sentimentale e poetico viene gestito con dialoghi che non hanno nulla del pathos attribuibile ai film passati di Mann.
Su un'architettura narrativa che fa acqua da quasi tutte le parti, ecco innestarsi il genio del maestro, la classe pura, il talento della messa in scena. Pochi oggi dirigono un film come riesce a fare Michael Mann. Ogni inquadratura, dalla "prospettiva manniana" sulla spalla destra dei personaggi, agli squarci aerei delle metropoli, dai primi piani alla camera a mano tra insignificanti stradine, tutto è la riproposizione degli elementi registici tanto cari al buon Michael. L'estetica di Mann è una delle prerogative del suo cinema. Non è il primo caso in cui nella sua filmografia troviamo la predominanza dell'immagine sulla parola. E in fin dei conti il cinema nasce da questo. Mann ce lo ricorda dosando ogni luce, ogni sfumatura, ogni ripresa.
Nell'ormai corposa vita filmica di Mann, "Blackhat" è il primo vero capitolo in cui il cineasta dell'Illinois affronta il tema della "virtualità", la compenetrazione di mondi e realtà. Eppure, a guardare più da vicino la struttura manniana, si comprende come anche "Blackhat" non è altro che la nuova pagina di un racconto western. Il genere per eccellenza della cinematografia a stelle e striscie è parte integrante delle traiettorie umane di Michael Mann: quasi sempre i suoi film sono lo scontro tra due personaggi di dimensioni opposte. Il moderno fuorilegge e il detective ("Heat"), l'uomo spietato e l'uomo di tutti i giorni ("Collateral"), il western metropolitano "Thief", l'onore da riscattare anche oltre una legge ingiusta ("The Insider"). Il western è parte integrante dei film di Michael Mann, quasi scontato per uno cresciuto a pane e Peckinpah. Anche in "Blackhat" abbiamo un duello, anche in questo caso c'è chi cerca e chi viene cercato, fino ad un finale che è puramente rappresentativo dei duelli western. Mann è forse il regista americano che oggi riesce più di tutti a far coesistere postmoderno e classico nei propri film.
Un film con evidenti difetti di sceneggiatura e i soliti lampi di classe nella messa in scena. "Blackhat" non raggiunge le vette di "Heat", l'introspezione di "The Insider", non convince come "Collateral", non ha il respiro storico di "Public Enemies". E' un film di complicata assimilazione, ma è anche il tassello di un percorso coerente che Mann porta avanti da decenni, sia sul piano tematico che stilistico.
Non basta "Blackhat" a dare per morto il Maestro.
Carico i commenti... con calma