Un lupo attraversa una strada deserta di Los Angeles.
La città degli angeli di notte, angeli notturni: demoni.
Le luci degli edifici, dei semafori e delle insegne al neon illuminano due esistenze, due destini.
Gli uomini sono i microbi dell'universo.
Destini.
Collateral è uno dei thriller migliori degli ultimi anni e, a mio avviso, il capolavoro assoluto di Michael Mann. Il regista americano dipinge un'opera stilisticamente perfetta, con inquadrature a volo d'uccello visivamente estasianti, musiche che sottolineano un'atmosfera notturna di rara malinconia e un susseguirsi di scene narrativamente ineccepibili.
Un'interminabile corsa in taxi lunga una notte, in cui le vite del "taxi driver" Max (Jamie Foxx) e del sicario Vincent (Tom Cruise) cambieranno per sempre.
La caratterizzazione dei personaggi è superlativa. Non esistono distinzioni nette tra bene e male, ma piccole sfumature: il cinico e gelido Vincent non è solo un assassino spietato, ma un uomo disilluso, che ama il jazz, che non ha mai conosciuto la propria madre e sa che i sogni rimarranno sempre tali, fumosi, eterei, destinati a fallire. Max, da semplice ed onesto sognatore, scoprirà di non essere poi tanto diverso da Vincent.
Niente odio.
Solo coincidenze.
Destini che si incrociano.
I due protagonisti non sono nemici.
Avrebbero potuto essere amici, in altre circostanze.
Talmente diversi da essere uguali.
Un film che alterna monologhi profondi, azione improvvisa, momenti di tensione, calma rarefatta e dialoghi che sanno strappare più di un sorriso (su tutti quello in cui Vincent obbliga Max a dire al proprio datore di lavoro di "infilarsi il suo fottuto taxi su per il culo", o il dialogo su Miles Davis al Jazz Club).
Il bene che vince sul male senza trionfalismi o prediche, perché non c'è odio, è solo un lavoro. Il cattivo non è un cattivo.
"A Los Angeles un uomo muore nella metropolitana. Chi se ne accorgerà?"
Alla fine anche la notte è destinata a terminare.
E nessuno avrà visto niente.
Forse è l'indifferenza il vero male.
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