Notizia di servizio per chi lo conoscesse: Michael Manring ha finalmente deciso di comporre un disco come Cristo comanda, si perchè nonostante Manring sia uno dei migliori bassisti attualmente in circolazione (dal punto di vista tecnico/esecutivo), a causa del suo ego spropositatamente immenso, a mio parere non era mai ruscito a dare alle stampe un disco davvero di qualità eccelsa, vuoi per i suoni ora troppo new age ora invece troppo vicini al metal, fatto sta che non mi aveva mai colpito più di tanto.
Dunque, l'avevamo lasciato nel 1998 con il discreto "The Book Of Flame", disco per certi versi un po' sottotono e troppo poco concreto, al quale poi hanno seguito ben 7 anni di silenzio prima che tornasse sul mercato, nel 2005, con questo "Soliloquy", un album che finalmente marca in maniera più concreta la personalità e lo stile di un uomo che troppo spesso s'è perso in inutili frivolezze, ma cosa offre questo "Soliloquy"? La risposta è semplice, dal momento che durante i 30 minuti scarsi di ascolto, suddivisi in nove canzoni, si nota una spiccata propensione verso un jazz particolarmente nervoso, influenzato dal rock e più di rado da qualche momento più metallico, che però in questo caso non rovina in risultato finale.
I punti di riferimento dai quali il bassista prende riferimento sono facilmente rintracciabili in gente del calibro di James Jamerson e Jaco Pastorius, rimanendo tutta via più distante dai canoni decisamente jazzati dei due maestri e preferendo un percorso fatto più di musica da strada, vissuta e sanguigna; ecco allora che si alternano momenti al limite del funky sporcato di jazz come nella canzone d'apertura "Helios", pezzo estremamente ritmato nel quale il basso, unico strumento presente, scandisce sia sessione ritmica che quella melodica con un risultato finale davvero notevole. Si assiste poi alla presenza anche di episodi chiaramente ispirati ai lavori di Pastorius come si può notare in "I Left America", la canzone più triste dell'intero disco. Come si diceva prima Manring si diverte però anche a comporre pezzi influenzati dal metal ed ecco così che fa la sua comparsa nella ultima traccia, "Selene", uno stacco, verso il finale, di questo rock che sembra essere quasi più adatto a band come gli Apocalyptica più che ad un bassista del calibro di Michael.
Nonostante l'album non sia del tutto esente da critiche, ne è esempio la presenza dell'insensata "Makes Perfect Sense To Me", possiamo tranquillamente dire di essere davanti ad un lavoro abbastanza buono, che si lascia ascoltare con piacere, ma che richiede un lungo periodo di ascolti prima di poter essere apprezzato. Sperando che questo giovinotto di 48 anni continui a perseverare sulla strada che ha percorso in questo "Soliloquy", a me non resta che consigliare l'ascolto di questa piccola opera, che non rimarrà nella storia della musica, ma che comunque risulta essere ben più che discreta.
Carico i commenti... con calma