Tra i nomi più interessanti del 2023 letterario appena conclusosi, il nome di Michael McDowell giungerà nuovo alle orecchie di molti, escluso forse qualche accanito cinefilo che lo riconoscerà come uno degli sceneggiatori di un classico del cinema come “Beetlejuice”. Ancora meno sapranno della sua carriera di scrittore horror, che non ha mai davvero trovato riscontro al di fuori della madrepatria, ma che è stata invero piuttosto prolifica, seppur stroncata da una prematura morte per AIDS all’alba del nuovo millennio.
Tra le sue opere più note figura proprio la saga di “Blackwater”, recentissimamente riscoperta grazie al grande successo commerciale che la sua pubblicazione in sei volumi ha ottenuto in Francia all’inizio del 2022, e portata in Italia un anno dopo da Neri Pozza, che fiutandone il potenziale successo anche nel nostro paese ha pensato bene di riproporre lo stesso formato (peraltro espressamente voluto dall’autore ai tempi della prima pubblicazione), abbellendolo però con delle meravigliose copertine in rilievo. E se è vero che proprio le copertine, commissionate all’artista Pedro Oyarbide, già da sole varrebbero l’acquisto, tanto sono curate nei dettagli e pregne di simbolismo in ogni anfratto, è innegabile che le pagine che racchiudono siano anch’esse dotate di un loro particolare fascino.

Trattasi, infatti, di una saga familiare che affonda le sue radici nel Southern Gothic Horror e propone al lettore la storia di una famiglia di Perdido, in Alabama, in un arco temporale che copre circa cinque decenni. Motore di tutte le vicende è l’arrivo in città della misteriosa Elinor Dammert, bellissima donna del cui passato nessuno conosce praticamente nulla e che si insinua lentamente, ma inesorabilmente, nel cuore della ricca famiglia Caskey, scontrandosi apertamente con la matriarca Mary-Love, che vede in lei una potenziale minaccia alla stabilità dei Caskey stessi, oltre che al ruolo di potere che lei esercita su tutti i suoi parenti e sul resto della città. Elemento d’interesse, almeno all’inizio della vicenda, sono inoltre le circostanze in cui Elinor è venuta a trovarsi a Perdido: Oscar, il giovane rampollo della suddetta famiglia, la ritrova infatti perfettamente illesa all’interno di una camera d’albergo che, in seguito a una piena che ha sommerso l’intera città nelle acque dei fiumi Perdido e Blackwater, avrebbe dovuto essere completamente allagata, eppure la stessa ragazza pare non essere minimamente turbata dalla cosa.
Nonostante l’incipit sia però tutto focalizzato su questo mistero, l’elemento soprannaturale, dai tratti vagamente lovecraftiani e legato indissolubilmente ai due fiumi, farà solo da contorno per buona parte della saga, che invece si concentrerà sull’evoluzione dei personaggi e della fitta rete di rapporti che li lega nel corso dei decenni. Il che da un lato lascia più interrogativi che risposte riguardo alla vera natura di Elinor, che viene approfondita senza mai scendere davvero nel dettaglio, dall’altro dona alla stessa e a tutto il corollario fatto di apparizioni, profezie e morti violente fascino e incisività: l’orrore e il misticismo restano così sempre sullo sfondo, ma quando si prendono la scena hanno sempre conseguenze molto concrete sui personaggi e sul dispiegarsi delle vicende. Vicende che, peraltro, sono per larga parte manovrate dalle donne della famiglia Caskey ed è proprio qui che sta la chiave del successo di questa saga: grazie a una prosa essenziale, ma efficace e precisa come il bisturi di un chirurgo, McDowell riesce infatti a tratteggiare dei personaggi femminili affascinanti e sfaccettati (e in alcuni casi sorprendentemente queer), che si evolvono poco a poco e rivelano il proprio carattere attraverso azioni tanto intraprendenti, quanto, all’occorrenza, di una crudeltà e spietatezza indicibile. Sono loro il vero motore delle storie e sono sempre loro a determinare il destino non solo dei Caskey, ma dell’intera Perdido, che pur rimanendo sullo sfondo diventa a sua volta una protagonista silenziosa e onnipresente, contribuendo, insieme all’atmosfera solare squarciata da improvvise incursioni orrorifiche, a creare un immaginario particolare e fortemente riconoscibile.

Il che basta, a conti fatti, a rendere “Blackwater” una piccola perla nel suo genere, in grado di ammaliare il lettore fino a un finale che rappresenta una soddisfacente chiusura del cerchio e un addio quasi commovente a dei personaggi cui, con tutte le loro contraddizioni, si finisce inevitabilmente per affezionarsi. Il tutto senza inventare mai nulla di davvero nuovo e probabilmente scontentando chi si aspetterebbe di vedere più pagine dedicate ai misteri di Perdido e che da questi vorrebbe qualcosa di più di qualche sporadico, ma ben gestito aumento di tensione e qualche scena elegantemente sanguinolenta. Ciononostante, rimane la soddisfazione del vedere tradotto presso le nostre latitudini il lavoro di un autore di così piacevole lettura e il cui catalogo, si spera, verrà riscoperto nella sua interezza, perché se le premesse sono queste ci sarà parecchio materiale da cui rimanere torbidamente intrigati.

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