Partito con le migliori premesse, una campagna pubblicitaria così faraonica da competere con "Guerre Stellari", la fama anticipata di film dell'anno, ed eccolo in sala "Sex And The City". Beh, adesso che l'ho visto, spero tanto si riveli il flop dell'anno. E che sia fragoroso come il tam tam che l'ha preceduto. L'adattamento cinematografico del telefilm di culto prodotto dalla HBO, che vanta eserciti di fan nel mondo, ha ben poco della verve che caratterizza l'originale. Quasi nulla. Tanto le quattro protagoniste Carrie Bradshaw, Samantha Jones, Miranda Hobbes e Charlotte York sono allegre, sfavillanti e super fashion nella serie, quanto appaiono spente, invecchiate e lievemente depresse in questo polpettone mieloso. E' vero che ora sono sulla soglia dei cinquanta, mentre all'inizio viaggiavano tra i trenta e i quaranta, il periodo di massimo splendore per una donna. E' vero che la vita cambia, con tutto il suo carico di soddisfazioni, delusioni, gioie e dolori. Ma insomma... Qui è andato a farsi benedire anche il sense of humor che era uno degli ingredienti base della minestra. Altra spezia che manca, il ritmo, la dinamicità delle scene: dopo i preparativi del matrimonio di Carrie - Sarah Jessica Parker con Mr. Big (finalmente!) il tessuto narrativo, che in una commedia dovrebbe essere solido come una banca svizzera, crolla miseramente. E per una pellicola diretta discendente del serial più amato dalle donne di tutto il mondo è un peccato imperdonabile. Le battute si contano sulle dita di una mano, forse il regista Michael Patrick King dovrebbe prendere lezioni da Norah Ephron, mentre la parabola discendente di Carrie, dopo le nozze mandate all'aria, si compie in una mega Spa messicana dove le amiche, soprattutto Miranda - Cynthia Nixon e Samantha - Kim Cattrall, fanno a gara in volgarità e in frasi di una banalità disarmante. Perfino la bionda mangiatrice di uomini adesso ha le unghie spuntate, non ci crede più nemmeno lei e si vede. Suona tutto così scontato, già visto. Il reality, o la realtà?, piomba a piè pari nel film con la storia d'amore, recuperata in extremis, tra l?avvocato Miranda e il coccolone Steve. L'incontro chiarificatore sul ponte di Brooklyn è uno dei pochi momenti davvero toccanti di "SATC". Più per merito dello scenario, New York è impareggiabile, che degli attori. La City alla fine è la vera protagonista, inghiotte in un sol boccone e sovrasta tutto.
Ma ci sono almeno un paio, anzi tre cose che non mi vanno giù. La prima, i continui riferimenti di Carrie, scrittrice affermata della Grande Mela, ai prezzi delle case. Quel "Ce lo possiamo permettere?!" Suona più come un'ostentazione e non ci crede nessuno. Poi quei primi piani sui volti, a evidenziare con un certo effetto stomachevole trucco esasperato e zampe di gallina. Per una fiction che ha fatto dell'immagine un diktat mi pare una caduta di stile. Infine, il pubblico sguaiato in sala. Gruppi di donne che hanno idolatrato il telefilm devono per forza esprimere il loro entusiasmo in gridolini isterici e fuori luogo. Buuuh.
Da buttare: la lentezza dell'insieme, la mancanza di pepe. Dove è l'allure dell'originale? Sinceramente, butterei anche l'aerofagia di Charlotte e la foresta nera sulle gambe di Miranda.
Da salvare: le Manolo Blahnik blu con pietra preziosa, la Louis Vuitton ultimo modello e le Gucci da trampoliere: tacco 15? Non per tutte. Insomma, gli accessori. Poi, parere personale, la scena di Samantha, davvero innamorata del suo stallone, che si "veste" di sushi e lo attende per ore. Da geisha, ma romantico.
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