Fino a cosa si spingono i ricordi. In ben che non si dica ti riportano indietro nel tempo tra posti ed atmosfere che non avresti minimamente immaginato qualche istante prima. Io, ad esempio, mi sono ritrovato in un torrido Giugno del 1994. Me lo ricordo bene quel maledetto giorno. Era il 4 del mese ed avevo appena appreso che Massimo Troisi ci aveva lasciati. Indescrivibile ciò che provai in quei momenti, qualcosa che sa di amaro ancora adesso. Eppure tutto è cambiato, niente è come prima, il mondo gira diversamente. Ma la notte è diversa, mette nostalgia e puoi salvarti da essa solamente accettando ciò che la ragione ti propone. Potrei risultare troppo passionale, eccessivamente emotivo nel recensire questo capolavoro, l'ultimo di Troisi e di questo mi scuso in anticipo ma si sa, il cuore non passa mai in secondo piano.
''Il postino'' si adagia tra la sabbia delle spiagge di Procida e tra qualche montagna, troppo bassa per impedirmi di trovare Massimo in qualche parte del cielo. Non vorrei soffermarmi sul fatto che sia ''il più bel film di Troisi'' oppure dichiarare che ''non ce ne saranno più come Massimo''. Sono storie passate che vanno in bocca proprio a quella gente che di Massimo non sa nulla. Volevo invece condividere le sensazioni di questo capolavoro che in molti non dimenticheranno. C'è di tutto in poco meno di due ore: c'è la politica, ci sono le idee del popolo che si scontrano con una realtà già troppo dura, c'è una brava Maria Grazia Cucinotta ancora giovanissima ma soprattutto ci sono loro due: Philippe Noiret e Massimo Troisi. Così diversi ma allo stesso tempo così vicini. Non è una frase per allungare il brodo o per inserire un luogo comune banalissimo che in una recensione su un film del genere, non dovrebbe neppure esserci. E' solo una ipotesi che si trasforma in realtà: provate ad osservare entrambi durante il film. E' innegabile un feeling ed una comprensione reciproca tra i due. Un'amicizia breve che va oltre lo schermo della telecamera, è più profonda. Non mancano neanche l'onestà e la timidezza ''simpatica'' di un Troisi stanco ed impotente. Anche agli sgoccioli di una vita sempre al massimo, riesce a mantenere ciò che lo ha contraddistinto per una carriera intera: quella parlata incerta, quel volto sempre troppo insicuro. Mi permetterei di dire che qui, vi si aggiungono anche due occhi che ''parlano''. Impossibile non carpire il messaggio di Massimo, un addio solenne ma neanche troppo. Alla sua maniera insomma. Il tutto è suggellato dalle splendide melodie del compositore Luis Bacalov. Come potersi dimenticare della musica accompagnatrice dei titoli di coda? Con essi se ne va anche un uomo vero. E non cado nella rete del superficiale affermando questo perchè Massimo era uno con le palle, se mi consentite. Sfiderei il miglior attore hollywoodiano (o bollywoodiano) a recitare col cuore a pezzi. La differenza? Lui percepiva un quarto dello stipendio delle superstar di oggi mentre quest'ultime ci mettono un quarto del sentimento di Troisi in quest'opera.
Sarà pure insignificante ma per me vale molto e termino prima che una lacrima scenda e bagni la tastiera. Ahh maledetti ricordi...
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