Il libro
Opera del pensatore russo Bakunin, il libro traccia i fondamenti della suggestioni anarchiche dell'autore, secondo i topoi classici di questo filone di pensiero. La piena realizzazione dell'individuo è possibile solamente al di fuori dello Stato e di ogni collettività organizzata in forma istituzionale, in un contesto in cui ogni uomo si relazioni all'altro su un piano di assoluta parità.
Il commento di PDL: quale società senza istituzioni?
Nella vasta panoramica filosofica e politologica, il pensiero anarchico occupa un posto d'assoluto rilievo, ponendo interrogativi molto profondi con i quali dobbiamo necessariamente confrontarci ogni qual volta viene messa in crisi l'idea di Stato come organizzazione precostituita e finalizzata al benessere degli uomini, o quantomeno della loro maggioranza, mediante un monopolio della Forza in un determinato territorio, e l'applicazione di determinate regole e sanzioni a carico di chi trasgredisce.
Il pensiero anarchico si pone, come noto, in antitesi a questo assunto - caratterizzante nel bene e nel male la storia del pensiero politico moderno - e pone l'idea fondamentale per cui la massima felicità e realizzazione potrebbe essere raggiunta dagli individui prescindendo completamente dalla esistenza di una società organizzata in forma di Stato, da sostituire mediante una società atomizzata in cui ogni individuo provvede, autonomamente, al proprio bene, eventualmente rapportandosi agli altri su una base di assoluta parità. In siffatta prospettiva, anarchia designa quindi l'assenza di un monopolio della Forza esterno all'individuo, restituendo all'individuo la libertà ed individualità originaria di cui egli avrebbe goduto prima della organizzazione della società secondo le forme statuali, e, dunque, prima della stessa organizzazione della società secondo forme di accentramento del potere nelle mani di pochi o di uno.
D'estremo fascino sotto il profilo speculativo, il pensiero anarchico, mai organico e mai definito da una dottrina specifica, neppure dal Bakunin che qui recensiamo, risulta in verità basato su mere petizioni di principio indimostrate e probabilmente fallaci, su un radicale difetto di prospettiva storica, sia per quanto concerne lo studio del passato, che per quanto concerne la capacità di profetizzare un futuro possibile e desiderabile al di fuori di una società organizzata secondo forme di accentramento del potere, non solo su base statuale, ma anche su base istituzionale.
Vediamo di andare per gradi, guidando l'utente medio, magari poco avvezzo a seguire un ordito geometrico nell'esposizione del problema, a seguire la mia serrata critica all'anarchia. Critica che, vorrei sottolineare, non riguarda tanto il sogno di un mondo migliore sotteso alla speculazione anarchica, quanto il fatto che sia la demolizione del potere pubblico a determinarla e, nella sostanza, che sia il ricorso all'anarchia il metodo per migliorare le cose.
Sotto il profilo storico, il pensiero anarchico mi sembra inefficace poiché, da quando esiste la società organizzata, ovvero da quando i primi ominidi cominciarono a suddividersi competenze e funzioni nella caccia e difesa del proprio territorio, esiste la stessa idea di accentramento del comando, e della forza per attuare questo comando, in pochi individui (oligarchia) o in un individuo (monarchia), giungendo poi a svariate forme di democrazia rappresentativa, ovvero del potere della maggioranza. Si tratta di un dato storico e al contempo funzionale, posto che, senza il ricorso alla forza ed al suo monopolio nell'ambito di una struttura statuale gerarchica e stabilizzata, non sarebbe nemmeno possibile la esistenza di una societas organizzata, e, dunque, la sopravvivenza della stessa specie umana come noi la intendiamo, ovvero come specie animale creata da Dio (per chi segue le teorie evoluzionistiche: evolutasi) con caratteri schiettamente sociali, in cui è il gruppo organizzato secondo forme stabili e statuali a reperire risorse, garantire la conservazione della specie stessa, difendere la specie da predatori e competitori, e quant'altro.
Non serve insomma scomodare Aristotile per negare, in radice, la logica stessa dell'anarchia, la quale, togliendo allo Stato o alla società organizzata su base istituzionale il monopolio della forza, determinerebbe: a) una frammentazione della forza con esposizione della razza umana a rovina; b) una ricomposizione della forza su base individuale, determinando, nel medio lungo periodo, il ritorno ad una società in cui - per dirla alla Hobbes - homo homini lupus (ovvero: ogni uomo diverrebbe carnefice dell'altro), alla quale seguirebbe la ovvia ed inevitabile ricomposizione del potere su basi affatto similari a quelle che si sono pretese di demolire, se non addirittura peggiori. E' allora evidente la base utopistica ed irrealistica dell'anarchismo, in tutte le sue forme: ammettendo che i relativi pensatori fossero in buona fede nel preconizzare un ritorno alla libertà, piuttosto che alla guerra di tutti contro tutti, mediante la demolizione dello Stato, non può che concludersi come i medesimi avessero una soverchia fiducia dell'individuo quale soggetto tendenzialmente pacifico e capace di sopravvivere provvedendo unicamente a sé, o mediante legami di natura transitoria ed associativa con altri pari, svalutando quegli istinti egoistici e sopraffattori che sembrano essere invece propri della natura umana nel suo intimo, e, spiace dirlo, nella sua essenza.
Certamente la fiducia nell'uomo riposta dagli anarchici non è troppo dissimile da quella di altre correnti filosofiche e politologiche caratterizzate da una sorta di irrazionale fiducia ed idealizzazione della natura e della cultura umana: alludo soprattutto a quel Rousseau che, preconizzando uno Stato di Natura in cui ciascun uomo viveva libero ed in armonia con il Tutto e con gli altri individui, ometteva di considerare come, in natura, le prospettive siano radicalmente differenti e come, senza la necessaria concentrazione del potere e della violenza in una istituzione che le eserciti secondo ragione, non vi sia spazio che per il kaos, la deriva, e anche la morte. Questo lo compresero molto bene i Greci antichi: che invece di mandare a morte qualcheduno si limitavano ad esiliarlo fuori dalle "mura" della città. Ben sapendo che al di fuori delle istituzioni, della società organizzata, vi era una natura selvaggia e pronta a deprivare l'individuo di ogni dimensione che diremmo umana, prima di condurlo a morte pressocché certa.
L'organizzazione sociale su base istituzionale appare dunque ineliminabile: altro problema è quello di esercitare la Forza pubblica dello Stato secondo ragione e secondo delle regole chiare, poste soprattutto a garanzia dell'individuo, che allo Stato ha dato il compito di proteggerlo.
Spesso mi si accusa di essere impersonale, per cui chiudo, per superare tali critiche, con una postilla individuale e di vita vissuta: qualche tempo fa nel quartiere di Roma in cui vivo gli anarchici hanno fatto una manifestazione e un corteo contro lo Stato, imbrattando tutto con vernice rossa, dalle panchine del parco al bancomat dove mi sono recato per ritirare dei soldi. Vorrei chiedere a questi signori se, in una società anarchica e di eguali, si permetterebbero di agire così, se nell'ipotetica e fortunatamente irrealizzabile vita che preconizzano sarebbero quantomeno più educati, se non più intelligenti.
Tristi le idee che hanno bisogno di certi mezzi per essere propagandate.
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