Le lumache mescolate al verderame nelle grandi botti in cantina si sciolgono in un impasto vetroso di mille colori. I morti nel giardino di casa, un esercito di fantasmi, russi e nazisti, il custode Felice come un fauno che parla una lingua strana, bestemmia, Michelino che assorbe e cataloga immagini anni '60 come per rimettere ordine nella soffitta dei ricordi, piena di chincaglierie preziose (per lui).

Flame mi ha ispirato, ho ripensato agli anni dell'università. Quando il professore baffuto citava enfatico Scerbanenco, il manuale di letteratura novecentesca sigillava la bravura di Fruttero e Lucentini. Quando leggevi Elsa Morante e ti sembrava di aver letto tutta la Storia dell'umanità. E ripensandoci ti accorgi di non aver cambiato molto la tua idea. Useppe lo rivedi ancora nella sua tenda d'alberi.

Ho riletto alcuni passi di Carlo Emilio Gadda, alcune settimane fa. Roba che dovevamo studiarci un libro intero di racconti ed era più difficile d'un tomo di vaneggiamenti e bislaccherie. Soféghi! Soféghi! Gadda è uno dei ricordi più preziosi perché nella difficoltà estrema della sua lingua, nell'obliquità dei pensieri sempre aspri dell'ingegnere, cogliere un significato dava un respiro d'umanità purissimo. La pubertà, la morte per incendio, il dolore per una madre negli abissi dello scantinato, nella tempesta. Restano scintillii di comunicabilità tra umani in un coacervo di parole spigolose, aggressive, scorbutiche.

Se apri un libro con “Dimidiata” non vuoi bene ai tuoi lettori, dicono gli editor a Mari. Vero, o forse è il contrario? Forse gli vuoi troppo bene, ma ai lettori veri, quelli che non hanno paura dei termini difficili, che hanno un anelito verso un significato diverso, che non vogliono sentirsi ripetere ciò che già sanno. Certe parole anguste ti aprono nuovi modi di pensare, nuove sfumature dell'esistenza.

Apri a caso il libro e leggi qualche rigo, ritroverai la stessa visione problematica del mondo, assaggerai immantinente quel pastiche tra letteratura e vita che si compenetrano ossessivamente nei romanzi di Mari. La vita come (ostinata) conferma delle premonizioni letterarie, la letteratura come nobilitazione della vita e delle sue cianfrusaglie. Oggetti, ricordi, alchimie che trasformano episodi adolescenziali in fitti misteri storici, l'uomo che racconta il sé bambino e riempie gli interstizi del non conosciuto, del non compreso, con vertigini di orrore e nostalgia.

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