Sembra piuttosto comune che i cantautori "indipendenti" si nascondano dietro i nomi più strani. Andrea Nannerini produce musica "sociofobica", che dal 2002 condivide esclusivamente con pochi amici. Presentato così, scherzosamente, nel sito di un amico, Andrea Nannerini in realtà è ben più di un ragazzo promettente, e oltre che per la partecipazione alla compilation Ghirigori (insieme ad OvO e altri, edita da Pezzente prod. musicali) con il brano "Bianca" , si spera che faccia parlare ancora di se.
"Acufeni" (autoprodotto) è un grande salto in avanti rispetto ai primi demo (uno stile acerbo che tendeva spesso e volentieri ad un lo-fi caotico) e nei sette brani proposti, registrati in quest'ultimo anno, è interessante vedere l'evoluzione artistica - e pratica - del giovane musicista. "Zeko" sembra quasi plasmare un sogno, un ricordo lontano, come accarezzato dalle onde di un lenzuolo pieno di vento, dove il cantato è più uno strumento a se o una voce fuori campo che il vero protagonista. Sembra quasi di adagiarsi su tappeto sonoro di elettronica impalpabile. Per essere la prima prova, comunque, è inaspettato, ma riesce a creare in neanche tre minuti una atmosfera evocativa davvero forte, con un supporto strumentale piuttosto esile (mi vengono in mente i Sigur Ros, ma più per associazione d'idee che per un effettiva somiglianza). "Bianca", datata luglio 2004, è il brano più spoglio del cd (synth e voce) ma probabilmente rimane il punto più oscuro ed emblematico di tutta l'opera. "Ti riconoscerò bianca scia di dolore nella notte dietro alla danza di una morbida carezza. Gli alberi che non si spezzano si piegano finchè non arrivano non si sentono respirare." Non gli si può negare di avere fatto centro, ancora. Anche se sembra quasi che i sei minuti del brano rischino di dilatare troppo il fortissimo climax che si crea. Il dubbio che tutta questa tensione in "Bianca" non abbia alcun senso, dato che non si risolve in nessuna "esplosione" o evoluzione, è - forse - una possibile interpretazione. Una interpretazione più poetica che tecnica, ma penso che rimarrà sempre una questione soggettiva con un grande punto interrogativo.
Lo strumentale "Zolfo" -ennesimo brano atmosferico- è assimilabile ad una descrizione di un paesaggio (programming e tastiere in bilico tra Kid A dei Radiohead e i Matmos più bjorkeggianti) ma l'assenza di voce dimostra, purtroppo, l'evidente incapacità di sviluppare una idea in altre direzioni se non quella di una prima ispirazione, che, comunque, non è acqua sporca, sia chiaro."Xalkididòs" è invece una versione improvvisata di "Bianca". Interessante, anche se poco coinvolgente, visto che il contesto in cui è stata registrata col pianista Giovanni A. Sechi doveva essere una jam session di tutt'altro spessore. Imbracciando una chitarra classica (tanto mediterranea quanto Microphones/Mount Eerie) la complessa melodia di "Mercurocromo" si arricchisce di inaspettati scoppi di batteria (connotazione scenica più che riuscita) e campionamenti al limite del cacofonico che ricordano i tour de force sonori degli Xiu Xiu. La comparsa della voce e di ulteriori chitarre, persi in riverberi e delay, confonde ancora di più lo spettatore, travolto dai suoni e dalle parole: "Mi aggrappo alla terra con tutto me stesso." L'apparente caos di questo brano, il più sperimentale della raccolta, è definitivamente la conferma di un talento eccletico e aperto alla ricerca di una nuova comunicatività.
Andrea Nannerini è pienamente padrone del proprio background artistico e lo usa in maniera propria e originale nelle sue composizioni. A questa prima prova noi non possiamo che fare tanto di cappello, e aspettarne ansiosi. . . un'altro
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