Tristezza.
È la prima volta che un concerto mi lascia tale sentimento addosso. E non è una bella sensazione credetemi, soprattutto quando lo aspetti da un po'.
Dopo aver visto una reunion mostruosa come quella degli Stooges, ero decisamente curioso di vedere un altro vecchio dei favolosi 60's cimentarsi live alla veneranda età di 50 e rotti. Fondatore e cantante dei Deviants, band garage dell'underground londinese di fine anni '60, Mick si era dedicato attivamente alla politica con lo scioglimento del gruppo, pubblicando sporadicamente qualche album solista. Speranzoso di assistere ad un nuovo miracolo musicale, mi decisi a prendere un giorno in più di ferie (il che equivale ad un pasto in meno qui a Tokyo). Sentendomi triste da solo, raggirai il mio compagno di stanza Matteo (a cui gliene poteva fregar di meno) e la mia amica Tsuru e li portai con me all'U.F.O Club di Koenji (che per la cronaca prende il nome dall'omonimo club londinese dove suonavano i Pink Floyd e anche gli stessi Deviants). Mi sto ancora scusando con loro.
Dopo ben tre gruppi spalla (di cui mi ricordo solo il primo i Muddy Frankestein, in pratica una cover band degli Stooges, ma bravi), il buon Mick sale sul palco, e io realizzo subito, guardandolo negli occhi, il mio errore. Mick non c'è, e da un bel po'. Grasso, sudato, palesemente sbronzo e senza una parvenza di presenza scenica né tantomeno di voce. Un (de)relitto.
Gli unici momenti degni di nota (positiva e negativa) sono stati una buona versione, principalmente grazie alla band che lo accompagnava, di I'm Coming Home, una pessima e scontata Waiting For My Man (manco fossimo al karaoke), e un tentativo di emulazione degli MC5, che invece di scatenare una rivoluzione, mi ha ancor più fatto sentire come ad uno zoo. Uno zoo dove tutti vengono ad ammirare l'animale in via d'estinzione, il sopravvissuto della preistoria della musica rock, spacciato per una bestia ancora feroce, ma che realtà va in giro con la dentiera.
Povero Mick, non è lui lo stronzo, sono io. Sono io quello che è cascato nella trappola del music business, sia esso mainstream o underground (come in questo caso), che sfrutta la gerontofilia insita in molti cultori degli anni '60.
In ultima analisi questo concerto un paio di cose me le ha insegnate:
1) In Giappone puoi comprarti le birre al supermercato, portarle nel locale, scolartele sfacciatamente davanti ai gestori senza che nessuno si senta in alcun modo offeso.
2) A volte l'anagrafe non è solo un numero su un documento.
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