Inutile fare tanti giri di parole, perché a volte le cose sono davvero molto semplici. Così in questo caso basta poco per capire che "One Man's Treasure" (Mute - 2005) è un disco bello sotto diversi punti di vista: interpretazioni sentite, voce calda, passione viva, scelte ricercate, tensione, coerenza stilistica, cuore. In poche parole potrebbero essere questi gli elementi che caratterizzano questo lavoro solista di Mick Harvey, già componente de "The Birthday Party" e "The Bad Seeds".
Dovendo, tuttavia, complicarmi la vita alla ricerca di aggettivi per descriverlo, allora direi subito che l'ho trovato toccante, perché mi è apparso un lavoro molto personale, intimo, emotivo. Già, perché ascoltando ho avuto l'impressione che con questa musica Harvey avesse l'intenzione di regalarci il suo mondo di emozioni, che però ha raccontato prima di tutti a sé stesso. E questo mondo appare da queste note forse più quieto e isolato di quanto poteva essere qualche anno fa, quando con l'amico di sempre Nick Cave lottava contro eccessi, qui richiamati in parte dalla sconsolata, oscura e suggestiva "Demon Alcohol".
Sembrano così veramente lontani anche i suoi primi dischi da solista e oggi, a otto anni di distanza da "Pink Elephants" e a dieci da "Intoxicated Man", incisi insieme ad Anita Lane per omaggiare il cantautore maledetto Serge Gainsbourg, Harvey si denuda di fronte a chi lo ascolta e sembra semplicemente dirci: "Hey Man, dopo 25 anni di carriera vorrei dire che queste sono canzoni che rappresentano molto per me, tu cosa ne pensi?". E cosa possiamo pensare Mick? Semplicemente che sono canzoni splendide, grazie di cuore.

Queste però non appartengono tutte a Mick Harvey. Su dodici che compongono l’album ne ha scritto solo due ("Man Without a Home" e "Will You Surrender"), mentre le rimanenti sono cover di diversi autori. Fra questi naturalmente non poteva mancare Nick Cave di cui Harvey propone una delicata versione di "Come Into My Sleep". Ma gli altri nomi non sono così ovvi. Troviamo JJ Walker ("Louise"), Jeffrey Lee Pierce ("Mother Of The Heart"), ecc.
Praticamente una collezione di classici della formazione musicale di Harvey. Tutti intensi, vivi, talvolta lancinanti. Ma probabilmente il passaggio più bello del disco è rappresentato dalla profonda interpretazione di "The River" di Tim Buckley, che Harvey canta trasmettendo sensazioni che alternano cupezza e sensibilità.

Musicalmente si riscontrano sonorità country-rock, sviluppate prevalentemente da chitarre, pianoforte, batteria e archi. Un esempio è dato da "First St. Blues": introdotta dal pianoforte e da una chitarra acustica leggerissima colpisce immediatamente al cuore con la sua atmosfera soffusa in cui si inserisce la voce calda e leggermente sofferta di Mick Harvey che accompagna il notevole crescendo emotivo dettato dal suono degli archi in sottofondo. Questa canzone notturna e un po’ amara di Lee Hazelwood è assolutamente splendida, un vero capolavoro e mi piace considerarla il manifesto musicale di questo disco. Certo a volte la voce di Mick Harvey diventa più greve o lucida, altre volte compare dal buio una chitarra elettrica, ma il senso non cambia di molto.
Allora chiudiamo il cerchio perché è davvero inutile fare molti giri di parole: per me è un gran bel disco e se a qualcuno non piacerà, magari perché troppo interiore, beh... peggio per lui.

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