La didascalia finale di The Day After avvertiva che le conseguenze di un attacco atomico sarebbero state molto più tragiche di quelle, pur sconvolgenti, presentate sullo schermo. Il britannico Threads (trasmesso dalla Rai solo una volta, nel 1985, col titolo Ipotesi sopravvivenza), nato nello stesso clima di tensioni internazionali, pur partendo dalle stesse premesse (l’escalation militare tra le due superpotenze che, da rumore di fondo della quotidianità, diventa una minaccia concreta e angosciosa che sconvolge ogni singolo individuo e, di conseguenza, l’intero ordine sociale), si spinge oltre, con un approccio distaccato e documentaristico, lontano dai cliché del cinema catastrofico presenti nel citato film di Hume. Oltre a mostrare l’impatto della bomba sulle vicende individuali, lo sceneggiatore Hines e il regista Jackson analizzano impietosamente l’inadeguatezza delle istituzioni ad affrontare la catastrofe e le acuite tensioni sociali (che si traduce nella litigiosa impotenza dello “staff di emergenza” della città di Sheffield e nell’inutile brutalità della polizia, prima sui “sovversivi” – sindacalisti e pacifisti – poi su una popolazione allo stremo), simbolo di un’umanità sconfitta ancor prima del “colpo di grazia”. Ma l'analisi sul “dopo bomba” è ancora più raggelante, soprattutto perché più lungimirante rispetto a The Day After (Threads si spinge fino a 13 anni dopo la catastrofe): non è solo la civiltà materiale a essere annientata, con poche e stentate possibilità di ripresa (a causa dell’”inverno nucleare”, della mancanza di fonti di energia e della contaminazione dei terreni), ma è l’umanità stessa a essere azzerata, regredita a uno stadio quasi primitivo in cui si nasce, si vive e si muore nell’indifferenza (è significativa l’assenza di personaggi eroici e di atti di abnegazione, molto presenti in The Day After, che si chiude con un gesto di profonda umanità). E lo sguardo sui “figli della bomba”, una generazione tarata geneticamente e psichicamente, priva di punti di riferimento e di sentimenti, è forse l'aspetto più agghiacciante di Threads, che ne fa il film definitivo sull’olocausto nucleare, perché è difficile immaginare un orrore più grande di una distruzione totale senza speranze di ricostruzione.

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