Nel capiente e variegato teatro della musica popolare moderna il posto assegnato a Mick Jagger sta, senza tema di smentite, in primissima fila. Questo oggi sessantaseienne figlio della media borghesia inglese (padre e nonno insegnanti, madre parrucchiera), molto ma molto meno trasgressivo, vizioso e "pericoloso" di quanto abbiano argomentato i media ed immaginato i fans in tutti questi anni, è a buon diritto nell'olimpo dei grandissimi grazie ad uno smisurato, pressoché unico carisma personale, un vero dono di natura che ha fatto del bene al rock tutto, oltre che a lui ed ai Rolling Stones, molto più delle sue effettive capacità musicali.
I labbroni di Mick sono assurti a stereotipo di oltraggio e anticonformismo, l'uomo dietro ad essi sin dal 1971 aveva in realtà inteso di prendere le redini amministrative del suo gruppo, allontanando l'impresario Allen Klein e curando da quel momento personalmente il lato economico della faccenda e quindi il proprio destino con puntigliosità razionale, pratica ed all'occorrenza cinica. Quando poi, nel 2003, gli è arrivata la proposta di nomina a Sir da parte dei Reali d'Inghilterra, egli ha accettato di buon grado ed orgoglio, incurante delle imprecazioni del socio Keith Richards ("Fucking paltry honour!") e della derisione del suo benpensante batterista Charlie Watts ("Chiunque altro verrebbe linciato: mogli e figli a destra e sinistra e lo fanno Cavaliere!").
Mick Jagger è uno dei geni della musica rock e questo in forza della sua immagine, della personalità, del talentuoso istrionismo che ha contributo in maniera essenziale ad espandere l'immaginario collettivo a proposito della figura del frontman di un gruppo. Dal punto di vista tecnico tiene voce potentissima e salda (è proprio un cantante nato, del resto dichiara di cantare... da quando è nato!), riconoscibile fra mille, personalissima, indubbio patrimonio dell'umanità per meriti storici e di diffusione.
A me emoziona il giusto, assai meno di tante altre, così... sgarbata, e poco flessibile. Come compositore, essendo molto più cantante che strumentista, Jagger ha sempre avuto bisogno (anche per questo disco...) di appoggiarsi ad uno o più musicisti capaci di stimolarlo con buone progressioni di accordi, per poterle poi rifinire con una sua linea vocale ed un testo: il ruolo (uno dei ruoli) del suo alter ego Richards negli Stones, insomma.
Qui su "Primitive Cool" Keith proprio non c'è, giacchè l'album, il secondo a nome Jagger e datato 1987, esce nel mezzo di una delle fasi più acrimoniose e ostili del loro rapporto. I nuovi amici coi quali Mick tenta qui di consolidare un'efficace carriera solista, pronto a smetterla per sempre con gli Stones in caso di ottimo riscontro (così non sarà...), si chiamano David A. Stewart (quello degli Eurythmics, una specie di prezzemolo degli anni ottanta, iperattivo ed ipercompositivo), Keith Diamond (co-produttore) e per quanto riguarda la chitarra solista una vecchia conoscenza nonché ancora e sempre il migliore sulla piazza: Jeff Beck.
Il rapporto fra Beck e gli Stones è di odio/amore: attirato dal successo e dal carisma del gruppo, che gli ha d'altronde sempre fatto la corte quando era il momento di cambiare chitarrista, Beck ha sempre nutrito forti dubbi sulla consistenza musicale (o meglio, ritmica...) della formazione. Il matrimonio alla fine non si è mai fatto, ma i primi due dischi solo di Jagger, questo ed il precedente "She's The Boss", vedono il prodigioso solista fornire valore aggiunto col suo inimitabile tocco. Non è che a Jeff sia lasciato tantissimo spazio in quest'album, ma basta ascoltare il tema chitarristico che apre e sostiene l'iniziale "Throwaway" per stupirsi di come suono, scelta e sapore dati ad ogni singola nota siano di un altro pianeta.
Infelice a dir poco il singolo tratto da questa raccolta: "Let's Work" è un blues rock filastroccato goffamente e reso più squadrato possibile per poter essere ballato, ma il groove ritmico è infelice, mentre l'insulso testo prende a consigliarci di lavorare sodo "per sconfiggere la povertà" (di chi? Da quando in qua il risultato del lavoro della stragrande maggioranza di noi va a favore dei poveri?) e di non essere pigri... Di ballabile, anche per i canoni di quei tempi, assai meglio il brano che intitola il disco, dove elettronica e strumentazione tradizionale (anche tromba e sassofono) sono intercalati e connessi assieme da una produzione impeccabile che mischia pure sciabordii di mellotron "mediorientale" a'la Led Zeppelin con riffoni hard e stacchi funky, a rotazione.
La seconda parte dell'album è più gradevole, perché meno gigiona/canzonettara e più rock, in particolare la coppia costituita da "Shoot Off Your Mouth" e "Peace For The Wicked", robusti hard blues (specie il primo) nei quali il vocione aspro e animoso di Jagger è molto convincente. "Party Doll" invece pare evocare le ballate rollingstoniane di fine anni ‘60, metà country e metà pop. Pretenzioso e noiosetto invece, perché troppo lungo, l'epilogo autobiografico di "War Baby". Confermato insomma, anche in questa uscita, che Mick ha indubitabilmente la statura da grande frontman di un gruppo (e chi ne può dubitare?), ma non esattamente quella del solista, del cantautore.
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