Mi attrae e al contempo mi respinge, un film così. Bella la fotografia, bravissimi gli attori. Fa parte di quel cinema che cerca di descrivere i rapporti umani affastellando una serie di dialoghi anche in parte contraddittori, che vanno a dipingere un quadro complesso, sfaccettato, non per forza edificante o che comunque non vuole arrivare a un solo messaggio univoco, ma più che altro perdersi nella vastità dei sentimenti che è propria del genere umano.
Un cinema letterario quasi, molto scritto, che però in questo caso sa avvalersi anche degli strumenti propri e più peculiari della settima arte. Un bianco e nero splendido che dà fin da subito un'intonazione un po' dolente alla vicenda, le inquadrature in campo lungo negli scenari più diversi di un'America che non è mai solo uno sfondo (da Los Angeles a New York, a New Orleans). Perfino i rumori ambientali assumono un significato, grazie all'uso “diegetico” degli strumenti da giornalista radio del protagonista.
Raramente ho visto un uso della prossemica tra personaggi accurato e vario come in questo film: ogni istante ha una sua posa, una postura che è sempre postura dell'anima oltre che del corpo.
Ma, in questi casi, si sa, il rischio è quello di parlarsi addosso, di risultare un po' troppo sofisticati, degli americani benestanti che si masturbano sulle piccole grandi questioni di ogni giorno, sul fatto che il bambino (figlio di una coppia un po' problematica, appioppato per alcuni giorni allo zio Giacchino Fenice) abbia reagito male a una strigliata, si sia offeso per qualcosa, pensi che sua madre sia un po' caotica etc.
Se da una parte non critico i contenuti, che pur non amando particolarmente capisco possano riguardare molte famiglie della società borghese, sono meno condiscendente rispetto a certi dialoghi stantii. Il classico “Sto bene” ripetuto con tono enfatico e via dicendo, questa prosopopea esasperata dei sentimenti che sembra quasi necessario andare a cercarseli, i problemi. Altrimenti non si è interessanti. È questo il difetto di fondo del film, per me: parla con il linguaggio di un mondo che si sta semplicemente avvitando su se stesso.
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