Mantiene le promesse questo album di Mike Oldfield, che fin dal titolo alquanto spartano annuncia che le chitarre saranno le protagoniste indiscusse di questa musica. E così è, avventurandosi lungo le dieci tracce di "Guitars", uscito nel 1999. Durata complessiva 43 minuti, nove le chitarre impiegate, tra chitarre classiche, flamenco, elettriche, e chitarre trattate via MIDI, che Oldfield usa per simulare il timbro delle percussioni o per produrre sonorità simili a quelle degli archi, aiutandosi anche, eccezione che conferma la regola, con un sintetizzatore Roland VG8.
Ma al di là di una veloce ricognizione sugli strumenti impiegati (peraltro sempre doverosa nel caso di uno straordinario artigiano dei suoni come Mike Oldfield), restano i valori musicali espressi in "Guitars" e la qualità complessiva, di alto livello, del lavoro. Ciò che colpisce soprattutto è la grande inventiva melodica che si ritrova in questi brani esclusivamente strumentali: Oldfield, è vero, ci aveva abituati da tempo alla particolare cantabilità dei suoi temi, e qui ce ne dà ulteriore conferma.
Brani interamente acustici (come "Muse" in apertura, o "Enigmatism") si alternano a brani elettrici, sporcati dal timbro di chitarra elettrica distorta (come in "Cochise" o "Out of Sight"). Molto bella "Summit Day", in cui il tema affidato alla chitarra classica viene raddoppiato dopo l'esposizione dalla chitarra elettrica un'ottava sopra. E "Four Winds", il brano più lungo dell'album (9 minuti), suddiviso in quattro episodi, ciascuno con sonorità e caratteristiche ben delineate, che rappresentano idealmente un ritratto musicale della rosa dei venti e dei quattro punti cardinali.
Difficile rintracciare difetti in questo lavoro; forse in alcuni passaggi l'uso accentuato del riverbero rende le sonorità un po' troppo leziose, ma è un peccato veniale che si perdona in fretta. Per il resto, nota dopo nota, suono dopo suono, non c'è che la musicalità sicura e convincente di Mike Oldfield.
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