Ci sono persone che l’hanno amato dopo molti ascolti e persone che l’hanno ridimensionato dopo tanti passaggi. Appartengo alla seconda schiera. Il primo lavoro da solista del glorioso ex singer e fondatore dei White Lion e dei Freak Of Nature, Mike Tramp, viene dato alle stampe nel 1997 e presenta una decisa svolta nella carriera del danese, dal cognome rumeno, attivo negli Stati Uniti fin dai primissimi anni 80 (!!!). Class rock melodico e hard rock vengono repentinamente lasciati alle spalle per passare ad una forma musicale molto più leggera e poco graffiante che presenta la solita maestria nello scrivere melodie vincenti ma questa volta comodamente adagiate sull’ovatta di una marcata pressione stilistica pop.
Badate bene, questo disco può piacere tantissimo. È un disco di base melodic / class senza la prepotenza e il manierismo degli anni 80. Ma suona troppo troppo light per i miei gusti. Senza Bratta, già da anni Tramp aveva perso le ali e il buon Kenny Korade, solista anche nella precedente avventura dei Freak Of Nature, non prepara la pista di decollo alla bionda scapigliata di Mike. E secondo me, era proprio lui a non cercarla. Resterò magari anni a chiedermi il perché di questo cambio di stile, ma la risposta che mi viene sempre come prima è che Capricorn voleva essere l’album della maturità. Non che non si senta da ogni minima vibrazione vocale emessa dal grandissimo Tramp, ma non credo che uno come lui avesse bisogno di approcciare in questa maniera il primo album a suo nome.
Sembra la stessa ricettina con cui ha poi spolverato nei nostri giorni il monicker del Leone Bianco per non sparire del tutto, ma sbagliando clamorosamente. In questo caso non si può parlare di errore, perché il multinazionale singer ci ha messo la faccia e ha provato a sembrare un artista profondo e responsabile, però manca l’energia che l’ha sempre contraddistinto e in troppe cose le sue canzoni sembrano quelle dei WL. Metti Heart Of Every Woman e senti Broken Home. Come dire, sembra quasi che in questo album ci siano – non voglio esagerare dicendo scarti – b-sides dei White Lion. Di cui alcune comunque pregevoli e sicuramente meritevoli di stare su un album così griffato. Comunque.
Comunque. La voce di Mike Tramp è incantevole, lievemente roca, maschia, rassicurante, vissuta e chi più ne ha più ne metta. È ricco di grana il danese e lo è di natura. Quando apre bocca i suoni che escono fuori sembrano minerali allo stato puro. Canta da divinità. E siccome sto parlando di un album solista di un singer, già questo da solo basta a fare la sufficienza. In più è sincero e non teme la morbidezza dei brani e delle liriche. Effettivamente gli va riconosciuta come superata anche la prova di coraggio. Mi rendo conto che sto dicendo tutto e il contrario di tutto ma, come al solito, quando non metto voti alti, prima espongo il peggio e poi il meglio. Il songwriting non fa un passo avanti né uno indietro. Mike parla come sempre di amore, problemi sociali e festa con la genuinità di uno che non è mai voluto apparire come il guappo di turno ma come il frontman credibile e di riferimento per tutte le “brave persone” che non amano dissacrare ma sono fidanzate con il rock.
I brani. Il genio della melodia non ha voluto saperne di stare chiuso nella lampada e ha fatto visita al biondo crinito. Su tutte scintilla If I Live Tomorrow, che strappa consensi a mani basse coinvolgendo l’ascoltatore in un’atmosfera elettrizzata e buona come il pane con lo zucchero. Anche la opener Alredy Gone, velata di malinconia, quando s’incazza non ha pietà dello spartito. Per chiudere sul trittico d’apertura, buona sintesi di tutto l’album, segnalo anche Here I Don’t Belong, la più acuta e a briglie sciolte, che ci regala un Tramp formato Big Game carico come ai bei tempi.
Leggo una recensione su Capricorn e lo scrittore la chiude dicendo di aver scoperto un piccolo capolavoro tra i suoi dischi, proprio dopo aver visto un concerto di Mike. Effetto live, appunto. Se fosse stato di un altro, l’album avrebbe meritato qualcosa in più. Ma il danese è uno dalla carriera tracciabile e i segni che ha lasciato lungo la via, parlano di ben altra musica. Certo è che non ha fatto le fesserie di un Bon Jovi MTV influenced, ma non ha neanche soddisfatto appieno il mio palato, scrivendo canzoni che sono lisce come l’olio, sebbene non manchi qualche interessante riferimento negli arrangiamenti agli anni 60. Un 3 perché è lui. E non nel senso che gli sto concedendo qualcosa. Un 3 perché doveva e poteva fare di più. Qualcuno mi smentirà.
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