“l’Identità” è il dodicesimo libro dello scrittore ceceno naturalizzato francese. Ed è dunque l’incomunicabilità che si fa largo ancora una volta nel suo immaginario, attraverso l’evocazione di luoghi suggestivi come il litorale della Normandia; come attraverso i fraintendimenti di coppia; così che l’occhio dell’autore fluttuante tra la psiche dei due protagonisti al centro del racconto rivela aspetti inconsolabili in tale Jean- Marc: un uomo sempre di più prostrato dal timore di non riuscire più un giorno a riconoscere la convivente Chantal; passando alla paura di non essere più amata/ammirata da parte di lei, alle prese anche con un ammiratore nascosto, che la indispettirà con le sue lettere che sembrano conoscerla profondamente, spingendola a puntare il dito ora contro qualcuno e ora qualcun altro di chi le è attorno; ora contro di sé, per zittire l'effetto ambivalente eversivo che le lettere le sollevano dentro.
Risoltasi la breve parentesi gialla, la restante parte conclusiva del racconto tenta invano di assurgerla a qualcosa di sensato cedendo invece nel dominio della retorica surreale, lasciando abbastanza con l’amaro in bocca. Kundera saprà rinforzare l’analisi sul confine che separa il singolo individuo dalla collettività nell’opera successiva, "L'ignoranza' con una bella metafora sull’Odissea; per il tramite dei ricordi sempre alla mercé della mistificazione, sebbene esasperandone il concetto, come già succedeva nei lavori di Pirandello, e come succede con gli accorgimenti usati in questo libro per sollevare nel lettore l'ansia verso la privacy, raggiungibile neanche nella tomba a quanto sembra, e dove pur tuttavia dovrebbe venire meno anche la scia dei ricordi?
Insomma, il terreno battuto, irto di per sè, non trova in questo episodio una guida consapevole nel suo autore.
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