"Nefertiti" è probabilmente il frutto migliore del periodo del secondo quintetto del principe delle tenebre, registrato nel 67' e pubblicato l'anno seguente rappresenta l'ultimo lavoro acustico di Davis prima della svolta elettrica cominciata con i successivi "Miles In The Sky" e "Filles De Kilimanjaro" e portata a compimento con opere del calibro di "In A Silent Way" e l'epocale "Bitches Brew".

Quest'opera si trova così nel mezzo, tra due epoche a fare quasi da spartiacque tra il vecchio ed il nuovo corso nella storia del jazz moderno, l'epoca del secondo quintetto è stata per Davis prolifica e creativa a dir poco, una formazione di fuoriclasse che tra il 65' ed il 68', avrebbe sfornato un capolavoro dietro l'altro, una formazione incurante sia delle tendenze free del periodo che della forma dedita all'improvvisazione dell'hard bop. Questo meraviglioso gruppo, formato da Tony Williams (batteria), Ron Carter (basso), Wayne Shorter (sax tenore), Herbie Hancock (piano) e naturalmente Miles Davis alla tromba era forte di uno stile compatto e fantasioso, l'esecuzione si concentra sul tempo e sul ritmo, con parti armoniche sviluppate in maniera modale, la sezione ritmica avanza e si muove con grande libertà, stabilendo gran parte delle coordinate dei brani e cambiando spesso l'andamento delle composizioni, i fiati seguono i suoi mutamenti e creano melodie ora tese ed incalzanti, ora morbide, suggestive. Il brano omonimo che apre il disco è una delle cose migliori in assoluto create da questo magico quintetto, il drumming nervoso ed imprevedibile di Williams si mescola all' incedere geometrico del basso, Hancock crea con poche note suggestioni oniriche, i due solisti creano una melodia lucente e fascinosa, espansa ad oltranza, un'abbraccio senza fine tra il suono del sax tenore e quello abbagliante e magniloquente di Davis, che con la sua tromba crea una serie di sequenze di vecchie e meravigliose foto in bianco e nero, locali notturni newyorkesi fumosi e semi bui, gente ben vestita che ride e beve whiskey con belle ragazze che fumano sedute ai tavoli.

"Fall" è più sommessa e suadente, il solismo di Davis domina su tutto, l'incedere ritmico rallenta e si dilata, le melodie ed il climi della composizione sprigionano malinconia e grande pathos notturno, autunnale come da titolo, meravigliosamente in bilico tra tristezza e vitalità, in "Hand Jive" tutta l'irruente creatività dei musicisti viene fuori bizzosa e "libera", slegata da ogni restrizione stilistica, il suono è avvolgente e i soli sono spontanei ed astratti inoltre il lavoro del giovane prodigio Williams alla batteria si fa più serrato e maggiormente teso. Anche "Madness" e la più breve "Riot" procedono verso la direzione dell'irruenza appena sentita, caratterizzata da straordinari cambi tempistici, atmosfere stranianti e classiche magie davisiane da brividi la prima, sorretta invece da un veloce ritmo semi-tribale e un lavoro dei fiati quasi free la seconda, l'ultima composizione, "Pinocchio" va in un certo senso a chiudere il cerchio aperto dalla title-track iniziale, le atmosfere eleganti e notturne, i soli suadenti ed altisonanti mischiati all'incedere ritmico incessante e martellante creano l'avvolgente intelaiatura sonora che per tutta l'opera ha stregato ed ammaliato l'atmosfera meravigliosa di questo autentico capolavoro di un Miles Davis ancora una volta in stato di grazia.

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