Auto-celebrato il ritorno sulla scena musicale con “The Man with the Horn” (“Describe a Man so Rare / like Fine Wine”) e con il live “We Want Miles”, Davis ritrova se non proprio l'ispirazione dello sciamano elettrico che fu almeno la presenza creativa, voglia di pubblico e vis polemica.

I primi anni ottanta riservano al Dark Magus accoglienze entusiastiche nei concerti, il riconoscimento pieno di appartenenza allo star-system, e una serie di retrospettive sul “suo” jazz dal quale sempre più stava allontanandosi. Il confronto con Wynton Marsalis, che lo attaccherà in nome del jazz filologicamente corretto (e museale, il che per un 22enne è tutto dire), ne è una riprova, e Miles lo liquiderà così: “arrivano a considerarlo (Marsalis) meglio di Dizzy e me nel jazz, e lui sa bene che non può nemmeno reggerci il moccolo, con tutto quello che abbiamo fatto e che faremo in futuro...(riferito alle interpretazioni di musica barocca) c'è Wynton lì a suonare questa merda morta...a suonare quelle lagne da culi stanchi”.

“Star People” (1983) segna il termine della collaborazione con Teo Macero, l'ingresso di John Scofield in veste di secondo chitarrista solista, da affiancare e contrapporre a Mike Stern (con un rapporto ormai problematico con il leader), e vede ancora una volta la presenza, peraltro non accreditata nel disco, di Gil Evans come arrangiatore, alle prese con brani trascritti da improvvisazioni del gruppo. “Come Get It” in apertura è un funk muscolare, trascinato da Marcus Miller e Mike Stern che macinano un groove possente, concepito per lanciare gli assoli e destinato ai palati più tecnici e meno lirici. Se non già qui, altrove diventerà jazz-rock di maniera. “Its Gets Better”, è un blues dal battito minimale, con un accompagnamento convenzionale di chitarra, dove il canto disteso della tromba sordinata svelle e lacera una atmosfera sedata, in una esecuzione raffinata, discendenza diretta da Clak Terry e St.Louis, e giustifica l'acquisto. Star People”, con l'intro di Oberheim (il nuovo giocattolino) di Miles, cucito in fase di rimissaggio, è il secondo virtuosistico blues che caratterizza l'album: si alternano gli assoli di tromba, di un tonitruante Stern e del sax di Bill Evans, mentre Al Foster incalza con una batteria dalle sonorità perlomeno “singolari”, che fa scrivere a Richard Cook “i piatti sembrano coperchi di casseruole” (sic!).

Tom Waits lo avrebbe assunto al volo per l'apocalittico “Bone Machine”. Con i consueti cambi di formazione, dopo “Star People” si ricorderanno il capolavoro pop “You're Under Arrest”, il misconosciuto (a torto) “Aura”, e il fin troppo celebrato “Tutu” laddove la produzione di Tommy LiPuma e le composizioni “perfette” di Marcus Miller finiranno per ridurre gli interventi di Miles a coloriture di finissima classe.

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