"We want Miles". Yes. E allora il basso canta: dum. dum. dudududumdudududu. Ecco che entra il leader, lo sciamano, l'anima straziata e incompleta, sempre protesa verso nuova arte; che sound. Questo è "Miles after the comeback" al 100% e, che piaccia o no, non meniamocela troppo: il sound c'è ancora. Quel filo rosso che collega "Birth Of The Cool" a "Kind Of Blue", "Sketches Of Spain" a "Miles Smiles", "In A Silent Way" a "Bitches Brew" non si è spezzato.
Cambiano le epoche, i suoni, le attitudini, le mode le persone i personaggi, ma Miles resta. Ed ecco allora "Jean Pierre", fra le composizioni più famose dell'ultimo Davis, che ci testimonia proprio l'attualità dell'artista, la sua appartenenza a tutte le ere. Ed ecco il già citato attacco di basso, poi la batteria, i fiati, le percussioni, e poi Mike Stern in stato di grazia (a dir poco); eh si perchè lo sciamano non è solo sul palco, è accompagnato da un gruppo di veri e proprio fenomeni: Marcus Miller (basso elettrico), Mike Stern (chitarra elettrica), "Al Foster (batteria), Mino Cinelu (percussioni) e Bill Evans, che non è il pianista, al sax.
Dopo l'attacco allegro e spensierato di "Jean Pierre", il gruppi si cimenta in nuove composizioni di Davis: "Back Seat Betty", "Fast Track" e "Kix", oltre a una rivisitazione (comunque rispettosa) di "My Man's Gone Now". I brani sono molto lunghi, solo la seconda esecuzione di "Jean Pierre" (chissà perchè la suonano due volte... Misteri sui quali noi comuni mortali non potremo mai fare chiarezza) dura meno di 4 minuti, poi si va dagli 8 ai 20 minuti. Sembra quasi che il gruppo non abbia poi tutta questa voglia di finirli, questi brani. E perchè dovrebbero, in fondo? La band funziona alla perfezione, il feeling c'è, il divertimento è talmente evidente da essere quasi palpabile.
Questo, infatti, è il pregio principale di questo album: il gruppo si stava divertendo su quel palco, si sente proprio. C'è qualcosa nel contrasto fra i suoni eterei e disperati dei fiati di Miles e Bill e i terreni bassi di Miller che ti fa dire: si divertono. Non sai cos'è: è la magia della musica, probabilmente. La straordinarietà di sei persone che suonano perchè amano farlo. Potrebbero dimostrarti quanto sono bravi con scariche di note che John Petrucci si sogna, ma non lo fanno. Anche durante i veloci assoli di Mike Sterm, non si ha mai la sensazioni di un mero esibizionismo. E questo perchè Miles, e con lui tutti gli altri, sanno che suonare valanghe di note non è necessario, se sai emozionare la gente con una sola.
Questo non significa che la bravura dei musicisti non venga fuori da queste registrazioni, anzi è ancora più lampante e cristallina proprio perchè sommata al gusto e alla classe. Il sapersi fermare al momento giusto, l'aumentare il ritmo per poi dilatarlo ancora: questo saliscendi di emozioni ci regala l'album. Quando si arriva alla fine di questo disco, si ha il fiatone, e il cuore batte forte, perchè la musica è, come l'amore e la vita, cosa sfuggevole, ma di cui sentiamo il richiamo e il bisogno, e quando c'è chi soddisfa questa necessità in questo modo, beh, si può solo continuare a esclamare, ora più che mai: "We Want Miles!".
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