Mi piace tutto, di Miles. Tutto, ma una cosa in particolare: il suo strumento, come lo tocca lui, nessuno. Pochi geni hanno eguagliato il suo acume creativo, il suo fare del moto dell'animo un'armonia istrionica e dolce, ruggine e miele, decadenza e panna.

Miles è ancora tre spanne sopra ogni collega, avanti alla contemporaneità. Nell'eleganza del suo abito, del suo portamento, del suo innato carisma, del lamento del suo piangente strumento, Miles emoziona, dritto al cuore.

Dai tempi dei primi complessi, delle cantine fumose, ne ha fatta di strada, Miles: ora è lì, richiesto da tutti, pure dagli italiani in cerca di qualche birciola del suo talento - si veda il recente feat con Zucchero fornaciari.

Tutto colpisce, della sua arte. Una tensione creativa che, ogni giorno che avanza, scava con lo scalpello della malinonia sul suo duro volto da eritreo triste e nobile d'animo. Ora, metterò sul piatto questo disco per la prima volta, che tra i volumi della sua vastissima discografia, mi è sempre sfuggito.

E ora mi chiedo, quando farà il suo ingresso? Siamo a 10 minuti e sento solo una musicaccia un po' fastidiosa, chè più che la psichedelica mistura di In A Silent Way mi ricorda un polpettone brit-trash da discount di periferia. E la tromba, dov'è?

Ah ma vaffanculo, non è il tipo che fa jazz: è Miles Kane. Va be, sta roba fa cagare sangue.

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