Talento e genio. Su questa dicotomia della natura umana nasce e si sviluppa Amadeus, biografia prima teatrale e poi cinematografica del grande di Salisburgo ispirata alla pièce puskiniana "Mozart e Salieri". E' dal testo del poeta russo che nasce la (inventata, a quanto pare) contrapposizione originaria, lo scontro Salieri-Mozart, con tutto il drammatico (e ancor più inventato) epilogo che ne seguirà: il primo, compositore di corte all'apice della fama; il secondo, un irrequieto mascalzone con il dono (inspiegabile) di mettere insieme melodie paradisiache. Di qui una gelosia divorante dell'italiano, che pur riconoscendo nell'altro "il genio" - il rivale contro il quale non può combattere a note pari - non comprende e non si arrende al perché. E' tutto qui il rovello: in quell'infantile "perché lui sì e io no?". E' proprio nel testo di Puskin che Salieri concepisce l'omicidio come unica possibilità di salvezza e di ricollocazione della propria figura sul gradino più alto del podio dell'immortalità dal quale l'altro lo sta scalzando a colpi di immortali capolavori. Ma in un dialogo tra i due, sulla natura del genio, Mozart pone l'aspirazione dell'altro di fronte all'ennesima sfida e involontaria provocazione: "Il genio non può commettere omicidio".
Il film di Forman, dotato di una grossa carica umoristica, almeno nella prima parte, porta allo spasmo il concetto di ingiustizia cosmica, in cui tocca a uno strepitoso Murray Abraham dare sangue ai pensieri (auto)distruttivi di Salieri: gli vale l'Oscar (sa di ricompensa postuma a tante sofferenze...) la scena in cui prima di buttare al rogo il crocifisso, sfoga così la sua disperazione, raccogliendo nel gesto blasfemo la disperazione di tutti i "mediocri del mondo": "Signore, se non volevi che fossi io a celebrare il tuo nome con la mia musica, perché instillarmene il desiderio?". E per dare ancor più risalto al contrasto, Mozart-Tom Hulce dà vita a una sorta di giullare, un ragazzotto che scrive musica per caso, non si sa ispirato da cosa o da chi, uno che corre dietro a tutte le sottane, ride come una scimmietta, e un giorno finisce non si sa come a corte. Dove davanti al sovrano e a Salieri, che in suo "onore" aveva preparato una marcetta di benvenuto, sfodera l'audacia di stravolgerla improvvisandoci sopra: "Qui c'è qualcosa che non torna... ecco, così suona meglio, iiiiiiiiiiihhhhhhh", e giù a saltellare con le dita sul piano producendo note scritte nello spartito infinito della sua testa ("perché non ho due teste?", si chiede lui stesso provandosi parrucche). Nasce una stella: l'imperatore idiota (musicalmente parlando, "non ha orecchio") stravede per il prodigio, commissionandogli un'opera, poi un'altra e altre ancora, ma guai a giudicarlo ("bella musica, ma, come dire, troppe note"? - "potrebbe Sua Maestà dirmi esattamente dove?").
Il nome di Mozart riempie il teatro di corte. Ma la parabola è breve, breve quanto la vita stessa di Wolfy, come lo chiama la moglie, causa prima delle sue dissestate finanze. Fa da sotto-trama il rapporto tra Mozart padre e figlio: i mai risolti complessi di inferiorità/riconoscenza/colpa di quest'ultimo, che sul finire della carriera(-vita) viene letteralmente fagocitato dall'ombra proiettata dall'improvvisa scomparsa del genitore, un'ombra seduta sull'estremità del piano inclinato e che prende forma fisica, accelerando la rovina definitiva e impadronendosi di quello che gli rimane da vivere: il convitato di pietra in Don Giovanni, il misterioso uomo in nero che ritorna dagli inferi per commissionargli un Requiem, e che il film vuole sia Salieri in persona.
Cessa di colpo lo strabordante umorismo del film, per lasciare spazio a una tensione asfittica. Cambia persino il tempo, lunghi e cupi giorni di pioggia, come se il cielo stesso stia piangendo la morte di qualcuno caro a Dio. Noi invece ciondoliamo come un pendolo: insieme con Mozart viviamo un'angoscia che sentiamo non essere nostra, ma divina; è con Salieri invece che Forman ci sbatte, a guardare allo specchio il nostro intimo grottesco, l'umana bassezza che accomuna tutti i mediocri e che si sublima qui nel pagare l'inconsapevole rivale per scrivere una messa da morto senza morto. E quando lui avrà riempito questa parola di carne, spacceremo l'opera per nostro personale omaggio al genio "scomparso prematuramente", riscuotendone lo scontato tributo di immortalità. Ma è ancora il destino a punire Salieri-Edipo, illudendolo di agire e usandone il "talento" per compiere il proprio imperscrutabile progetto e rendere immortale invece il "genio": raccogliere al capezzale di un delirante Mozart le note del Requiem dettate a voce ("Avete capito?" - "Troppo veloce, troppo veloce, non capisco, non capisco...") prima che muoia e non ne rimanga più traccia.
Strumento di Dio, Salieri non trarrà nessun ricavo dal suo complotto, ma a missione (semi)compiuta verrà buttato come un ferro vecchio, e mentre la salma di Mozart finisce in una fossa comune avvolta in un sacco nero, lui è punito con la vita, a concludere i suoi giorni pazzo in mezzo ai pazzi. Un vecchio assillato e mediocre, con un solo, inutile talento: rimpiangere il genio che lui non è mai stato. Amadeus inizia proprio da qui.
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