E’ evidente, salta subito all’orecchio che questi ragazzi lombardi hanno voluto saltare alcune tappe della formazione di un musicista e si sono buttati in pasto al pubblico troppo presto. Perché? Cosa è questa ansia di farcela a tutti i costi, quest’ansia da prestazione precoce? Ci vuole tempo per far sì che una band ingrani e possa formare non solo un affiatamento importante, ma anche un songwriting che sia peculiare e dimostrare una propria personalità.

 

Troppo immaturi, semplici e faciloni i 12 brani di questo primo album che potrebbe essere di un qualsiasi gruppo alt rock anni ’90 e mi spiace dirlo, non posso nemmeno lasciar loro il beneficio del dubbio sulla resa live, dove dimostrano di essere molto legnosi e poco coinvolgenti.

 

Il power trio come formazione non lascia scampi, per funzionare deve avere un chitarrista più che abile ed un batterista di polso dal tocco potente ma leggero, invece i Ministri pestano e basta, e questo non è sufficiente per dare una impronta a delle dinamiche efficaci o a sottolineare una tensione emotiva, sono ben altri i trucchi del mestiere di chi suona l’alternative. Eppure in Italia abbiamo avuto un esempio eccellente come i Verdena, ma in questo album ci sento solo un grande sfogo, ma confuso, non canalizzato, senza forma, solo un picchiare duro sulla batteria con la chitarra che se ne va per i cavoli suoi, i Ministri sono sì aggressivi, ma è vero che se la prendono anche con le stesse cosa con cui se la prende ogni italiano medio (chiesa, conformismo, senso di inadeguatezza) e sono gli stessi discorsi che fa anche la mia portiera quando si lamenta che il postino non suona nemmeno per lasciare le raccomandate e le tocca rincorrerlo per la strada. Lo stesso tipo di incazzatura, uguale, ma assolutamente qualunquista.

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