I Ministri li ho conosciuti da poco, diciamo da quel momento di frenetica attesa prima dell'uscita del nuovo disco. Incuriosito, in quell'attesa, mi sono ascoltato con immenso piacere tutti i lavori precedenti, dal'esordio di fine 2006 all'ormai penultimo "Fuori" del 2011. Dico la verità: mi sono piaciuti da subito. Vuoi per i testi intellettuali e diretti al contempo, vuoi per il bel rock che riescono sempre e comunque a tirare fuori, vuoi semplicemente per l'approccio estrememente attuale col quale la band guarda alla realtà e la traduce in musica.
Nel seguire il percoso musicale dei Ministri ho notato una chiara linea evolutiva che dal Punk-Indie-Rock degli esordi porta ad un suono a tratti più melodico (ma non per questo meno incazzoso) fino poi ad approdare al quasi Electro-Synth-Rock di alcuni brani (non tutti e non di certo i peggiori) di "Fuori". Non m'è dispiaciuta, anzi, in controtendenza con i fan più puristi ho apprezzato questo cambiamento. La maturazione naturale del songwriting del trio milanese era giunta, se non ad un ripudio della purezza Punk-Rock delle origini, ad una'auto-assimilazione e successiva elaborazione in una chiave più smaccatamente sui generis. Mi sarei volentieri aspettato un'ulteriore evoluzione un questo senso.
Per ultimo dico che se fossi stato io a scrivere le canzoni serei ripartito dagli esperimenti di "Tutta roba nostra" e "La pertoliera", in faccia a chi rinfacciava l'eresia dell'assenza delle chitarre distorte, dei ritmi martellanti e dellle urla figlie legittimissime del Grunge più pesante. Ma le canzoni non le ho scritte io e nemmeno quelli (pochi a dire il vero...) che la pensano come me. Menomale.
Eh sì, perchè "Per un passato migliore" non è affatto un disco brutto. Siamo tornati indietro. E' stata praticata una netta tronacatura con tutto ciò che era stato fatto prima, le tastiere non ci sono più e, salvo qualche ballata comunuque Rock fino al midollo, il suono ruvido, duro e puro è tornato imperante. Si parte con "Mammut" che mette subito in chiaro una cosa: "Non vi allarmate, spacchiamo ancora i culi". Forte di un ritmo pesante (... pachidermico?) cattura l'orecchio e si snoda naturale fino al bel ritornello. Più che il senso piace la potenza sonora delle parole che s'amalgama più che bene con la musica. Poi il singolo "Comunque": lucida critica alla società e Punk-Rock coi contocoglioni... un brano che più ministrico non si può. Sempre pesante il terzo brano "Le nostre condizioni", tra i migliori del lotto, forte d'una voce sempre più bella, una struttura ritmica d'assalto e un testo che funge da manifesto programmatico del mudus operandi della band. Poi un prima ballata, melodica e Rock, bel testo (... esiste un testo brutto dei Ministri?), brano da concerto, ma comunque non c'è male. "Stare dove sono" ha già diviso: molti la criticano, alcuni la elogiano. Per me è un mezzo (tre quarti vai...) capolavoro. Un impianto musicale classico, simile alla precedente "Comunque", belle parole che incarnano le contraddizioni d'una generazione, urlate in faccia, con rabbia e disperazione... mammamia! "Spingere" è un'altro brano da pogo, perfetto live, un po' meno all'interno del disco dove comunque non stona più di tanto, anche se il tiro pare quì abbassato di un bel po'. "Se si prendono te" abbassa il tono e alza il tiro; è il punto in cui ci si può meglio riallacciare ai due album precedenti, musicalmente equilibratissima (lezione Afterhours imparata a dovere), bell'impatto emozionale del poetico testo, tanto di cappello al bravissimo Dragogna. La successiva "Caso umano" risente dell'influensa di Naked Raygun e Fugazi (come un po' tutto il Rock made in Italy di questi tempi) e cresce con gli ascolti, non molto diversamente dal lucido ragionamento sul tempo di "Mille settimane" che insieme alla precedente risultano essere il cuore pulsante del disco. Poi ancora una (signora) ballata quale è "I tuoi weekend mi distruggono" cupa e bellissima, la "Planet caravan" (... ammazzatemi pure!) dei Ministri, prova di maturità superata a pieni voti. "I giorni che restano" s'inserisce nell'album precisa precisa, ma non aggiunge molto, se pur il bel ritornello che entra in testa se non fosse urlato sarebbe fin troppo mainstram, (... ma è urlato, allora è cazzutissimo!). Poi verso il finale. "La nostra buona stella", bellissima canzone, degno vessillo di certo Rock e di certo misantropismo tipicamente italici; "Una palude", ultima traccia, ultima ballata. Testo tanto ermetico quanto splendido, bell'intreccio d'arpeggi di chirarra acustica ed elettrica, melodia da groppo in gola... finale in grande stile che esplode e poi sfuma... a-ri-mammamia!
"Per un passato migliore" non è un capolavoro, ma non è neppure un'opera dalla quale si esce indenni. Lascia la sua traccia, pesante, morbida e graffiante com'è. Se rivolevate i Ministri, eccoli. Sono loro, spaccano ancora i culi anche se sono cresciuti, sono diventati una band quasi adulta che non ha perso però tipica la rabbia che li contraddistingue.
Dispiace solo il discorso in sospeso: perchè non continuare lungo la linea tracciata col precedente lavoro? perchè non migliorarla, provare ancora nuove strade? perchè rifugiarsi nel passato? Forse per paura? O per la scarsa affidabilità d'un genere che non concede punti di riferimento? O per auto-delusione verso i propri risultati?
La risposta la sanno solo loro, ma in realtà non importa. La musica dei Ministri è bella così com'è. Una conferma di talento per una band che via via si ritaglia un sempre più importante spazio nel panorama Rock nostrano.
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