Allora, diciamo che “Psalm 69:The Way To Succeed And The Way To Suck Eggs” del 1992 è stato l’estremo saluto dei Ministry, purtroppo il commiato si è protratto fino al 2006 con questo “Rio Grande Blood” e chissà per quanto andrà ancora avanti.
L’unica capacità che sembra essere rimasta ad Al Jourgensen e soci è quella di macinare riff, feedback e schitarrate slayeriane in un ensemble inconsistente condito qua e là da quei campionamenti e quelle sonorità industrial che li avevano resi a loro tempo una delle più grandi band germogliate dal fertile terreno dell’underground made in Usa.
Non che ci si aspettasse un nuovo “The Land Of Rape And Honey” o qualche altra evoluzione da un gruppo che ha ormai dato tutto alla musica, ma la virata metal e hardcore attestata da questo disco e già originariamente abbozzata nel precedente “Houses Of The Molè” (che ora, per certi versi risulta molto più gradevole, forse perchè col senno di poi, abbiamo avuto modo di capire che il peggio doveva ancora venire con l'album successivo), dimostra come i Ministry abbiano perso fiducia nel loro straordinario sound e nella loro originaria carica eversiva, preferendo attaccarsi al carro dei vincitori metallari e di chiunque sfrutti la retorica populista anti-bushiana per perseguire quell’unico leitmotiv che l’industria dello spettacolo e tutto l’entourage che le ruota intorno ha ormai elevato a stile di vita: la moneta.
Eh si, la moneta...
Non potrebbe essere altrimenti, considerando la title track di questo disco che oltre a carambolare la solita serie obsoleta di beats, percussioni varie, voci e chitarre che strizzano l’occhio al peggiore, oltrechè prevedibilissimo, thrash e speed metal, è infarcita di proclami da terza media del tipo “I want your money” o “I’m a dangerous, dangerous man with dangerous, dangerous weapons” indirizzati al loro conterraneo più illustre: George “bla bla bla” Bush. I Ministry sembrano affidarsi a quella formuletta finto-ribelle costruita sul generico chiacchiericcio da fighettine che ha fatto grandi band piene zeppe di inutilità come i System Of A Down: quegli sprazzi di luce, quei colpi di genio fulminanti a cui i loro dischi ante era thrash metal ci avevano abituati adesso non esistono più. Dimenticate.
Adesso ci sono solo gli Slayer di “Senor Peligro” e i vocalizzi distorti che urlano liriche “coram populi” nella migliore tradizione Ministry. Il problema è che Allen “Mr Alien” Jourgensen negli ultimi dischi pare stia pensando sempre più a combattere la propria crociata personale contro il mondo piuttosto che fare attenzione a quello che suona: andiamo, i punti di riferimento di “Rio Grande Blood” sono gli stessi dischi che puoi trovare nel lettore cd del tuo fratellino tredicenne incazzuso con la maglietta di Slipknot et similia ( “Lieslieslies”, “Fear (Is Big Business)”). Davvero un colpo basso. Come il tonfo vertiginoso di “Palestina” l’ennesima traccia che scimmiotta il nu metal.
Siamo al paradossale: i Ministry, tra i primi a miscelare heavy metal ed elettronica punk,che scopiazzano la roba suonata dai tanti figliocci nati degeneri della loro stessa musica! Persino gli ospiti,uno su tutti Jello Biafra dei Dead Kennedys su “Ass Clown”, nulla tolgono e nulla aggiungono al valore complessivo del disco, le loro performance sono del tutto anonime e scialbe. Tra le chicche più belle del disco ci sono la "sinfonica" “Khyber Pass” e “Yellow Cake”, con l’uso geniale di chitarre e suoni dalle reminiscenze electro che compenetrandosi creano una techno music delirante, epilettica, luciferina.
Due tracce che ci regalano un rimpianto gratuito facendoci riflettere su ciò che quest’album avrebbe potuto essere con un pizzico di inventiva in più (che certamente a questi texani d'adozione non manca) e un pizzico di tediosa banalità in meno.
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