L'industrial era nato già da un bel pò di anni (per la precisione dal 1976, con i Throbbing Gristle) attraversando in seguito una fase di evoluzione grazie al contributo dei vari Chrome, Foetus e Big Black.

I primi l'avevano utilizzato per massacrare la forma canzone con riverberi e cacofonie maciullanti ; i secondi l'avevano ulteriormente perfezionato, rendendolo quasi musica da camera; i terzi, infine, avevano avuto il grande merito di unirlo in maniera totale all'hardcore più sfrenato. Mancava però un tassello fondamentale, ora che si entrava nella fine degli anni ottanta: era necessario che esso fosse aggiornato alle nuove sonorità "no wave" e noise tipiche del periodo, portate ad eccellento compimento da Pixies e Sonic Youth. A riuscire in quest'impresa furono i Ministry, band capitanata dal buon Al Jorgensen, una delle menti più spericolate del rock "pesante" di fine millennio.

"The Land Of Rape And Honey", disco del 1988, è il loro capolavoro, miscela esplosiva di hardcore, garage, noise e industrial appunto, ma soprattutto uno degli album più scioccanti di tutti i tempi, sicuramente uno degli atti di denuncia in musica più importanti ed efficaci. Ciò che i Ministry vogliono denunciare è la classica disumanizzazione e alienazione della società moderna, ma ciò che li rende innovativi è che i loro brani sono tra i più intraprendenti di sempre, impazienti di passare alla messa in pratica di un cambiamento radicale. Buffo è leggere come qualcuno abbia visto in questa band dei predecessori di Green Day o altri simili gruppetti moderni, per il loro scagliarsi contro il potere in maniera efferata. La verità è che i Ministry non vogliono denunciare nessuno in particolare, ma tutti in generale. Il loro obiettivo è la collettività, nessuno escluso: tutti sono responsabili della costituzione di una "terra di rape e miele", fuor di metafora l'America di fine Ottanta, dove troneggiano avidità, meschinità e ottusità senza sosta.

La distorsione della mente diventa distorsione musicale, e allora "Stigmata" non può che aprire l'album con un riff dissonante e micidiale, "investito" da cadenze tipicamente industriali (il suono e la voce, che è una, ma sembrano mille, sono avvolti da ciò che sembra il rumore di una pressa, in realtà esso è il risultato del gran lavoro delle tastiere). Jorgensen urla, si sgola, gracchia, e tutto ciò che esce dalla sua bocca viene filtrato, a creare un effetto straniante. A voi il parere circa quanto abbiano influito i Chrome su un brano del genere, che è il primo capolavoro del disco, ma non l'ultimo. "Deity", ad esempio, ne è un altro: un brano di thrash-metal alla Metallica barbaramente distorto e massacrato, in cui si intuisce addirittura qualcosa di melodico in mezzo a mille effetti caotici. "Missing", invece, presenta un andamento saltellante, ma ugualmente brutale e "sporchissimo", in cui non vi è un raggio di luce a pagarlo. Più che un brano, un coro da stadio in versione punk.

Sono brani ripetitivi, che esauriscono la novità musicale che li costituisce in pochi secondi, che potrebbero andare avanti all' infinito, ma è proprio questo il tema principale: la musica dei Ministry è un hardcore per androidi, che sembra fatto apposta per essere "ballato" e "cantato" da una comunità di automi, come automi sono diventati i rappresentanti del neo-genere umano, che di umano non presenta più quasi nulla. I clangori di "Destruction" sono anch'essi a dir poco disumani, alternati come sono a urla terrificanti, emanate da un popolo di reietti. I nostri si dimostrano eccellenti nel campionamento in "Hizbollah", significativo esempio di decostruzione con in sottofondo una nenia cantata da un muezzin arabo: è un'altra delle perle per cui vale la pena di acquistare il disco. Man mano che si procede, le tracce prendono sempre più la forma di ammassi di grida "coram populi" , come nella title-track, in cui Jorgensen sembra incitare una folla assetata di sangue alla rivolta. Il sottofondo di queste invettive è sempre pulsante, scatenato, irrequieto, come se si volesse dare sfogo alle proprie pulsioni ma si fosse costretti da un qualcosa di indecifrabile. "You Know What You Are", l'ennesimo pezzo da novanta, si staglia su un orizzonte thriller, dominato da un sabba malefico di grida disperate, come se queste rispondessero con orrore all'appello del titolo, come se nel riconoscere chi si è (o meglio, cosa si è diventati) si restasse sconcertati. Con "Flashback"" e lo strumentale "Abortive" si entra nel mondo della disco-music, ma una disco-music tossica, malata, in cui i loop manifestano un'inquietudine senza precedenti e le "presse" industrial si sfogano per l'ennesima volta.

In definitiva, un disco storico, uno dei più sottovalutati, a mio avviso, della storia del rock. I Ministry, con questo album, hanno forgiato quel suono che sarà manna dal cielo per Trent Reznor e i Nine Inch Nails. Perchè non merita il mio 5 ? In certi punti si nota un pò di autocompiacimento e di tecnica fine a se stessa, che lo fanno un pò scadere. Comunque sia, un disco consigliato a tutti i De-baseriani.

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