San Pedro, California, 1980-85.
I Minutemen erano una band di ragazzi normali.
Mike Watt e Dennes Boon, conosciutisi da ragazzini, avevano suonato per anni le canzoni dei Creedence Clearwater Revival, dei Van Halen, dei Blue Öyster Cult e di altri supereroi da stadio e folle oceaniche.
A quei tempi la scena indipendente non esisteva, Mike e D. erano consapevoli che nessuno li avrebbe mai "ingaggiati". Non c'era l'idea che ognuno potesse creare la propria musica: la migliore band in giro era quella che sapeva suonare "Smoke On The Water" più fedele all'originale.
Ebbene, qui si narra la storia di come sia scoccata la scintilla, di come alcuni kids americani si inventarono un nuovo mondo, un nuovo modo di pensare la musica rock.
Il trucco era semplice: se non c'è nessuno che vuole ingaggiarti, stampare i tuoi dischi, organizzarti una campagna promozionale, cercarti locali dove suonare, allora fallo TU!
Il DIY (Do It Yourself) diventò una filosofia di vita per migliaia di giovani sbarbati, da una costa all'altra degli States. Si iniziò a creare una fitta rete di collegamenti, locali in cui suonare, etichette indipendenti amiche a gestione familiare; nuove bands spuntavano come funghi e viaggiavano di città in città su furgoni scassati per suonare davanti a trenta persone.
Ma la storia più bella, e più triste, rimane quella dei Minutemen. Tre giovani che con i minimi mezzi inventarono uno stile inimitabile, incarnando un nuovo ideale: non importa che tu sia una star, l'importante è che tu sia te stesso. I loro motti erano frasi come "our band could be your life": siamo come te ascoltatore, tu potresti essere noi; oppure "we jam econo": suoniamo quello che siamo capaci di fare, prendeteci per come siamo. Minutemen = uomini modesti, minuti.
Ed il bello è che il loro suono era qualcosa di personalissimo e sublime, proletario ed intellettuale al tempo stesso. Influenzati dal funk, da certa new-wave inglese (Pop Group, Wire), dal primitivismo di Beefheart e dai classici gruppi da stadio, hanno coniato il loro linguaggio, unico ed ineguagliato.
D. Boon si inventò praticamente dal nulla uno stile alla chitarra: spigoloso, minimale, acuto, nervoso. Mike Watt era uno dei bassisti più dotati del punk tutto; Gorge Hurley, cresciuto sulle spiagge surfando e suonando bonghi, aveva il ritmo nel sangue.
Approdati quasi immediatamente alla SST del concittadino Greg Ginn (il loro primo EP "Paranoid Time" fu la seconda uscita dell'etichetta dopo l'esordio dei Black Flag), rimasero un gruppo di nicchia nella nicchia, capiti da pochi. Musicisti per musicisti.
La loro musica era troppo originale, intelligente, diversa dalle solite sfuriate rabbiose dell'hardcore per essere apprezzata dai giovanissimi punk californiani, e così attraversarono nell'indifferenza il cielo dell'underground americano di inizio anni '80, portatori di un messaggio destinato a lasciare un segno nella storia del rock.
Il loro sogno si schiantò al suolo il Natale del 1985, quando D. perse la vita in un incidente stradale, addormentato nel retro del furgone. La fine di un'amicizia, di un progetto. La fine di uno dei più grandi gruppi che si ricordino, proprio quando girava voce che dovessero passare ad una major, acquistando una più vasta audience. Un salto che scelsero i loro amici/concorrenti Hüsker Dü e che loro non poterono fare.
Il doppio DVD, uscito per il ventennale della morte, consiste in un documentario che narra la loro storia attraverso le parole di Mike Watt e di molti altri nomi della scena di allora (Greg Ginn, Ian MacKaye, Grant Hart, ecc… ) ed è corredato da tre concerti in versione integrale.
Indispensabile per i nostalgici e per gli appassionati dei cataloghi SST e T&G, dedicato a chi crede che il rock abbia perso importanza dopo il '77.
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