Parlare di un disco del genere è come raccontare un'esperienza mostruosa, indescrivibile.. senza paragoni!

Sono poco più di 35 i minuti di "1933", secondo lavoro dei newyorkesi 'Missing Foundation', band dal sound terrificante, tra le più estreme e anarchiche del panorama underground di fine anni ottanta, eppure quei 35 minuti rivelano un'ansia di ribellione, una sporcizia morale e un' inquietudine profonda che hanno pochi rivali.

L'atteggiamento assolutamente anticonformista del gruppo, unito alla produzione spartana senza alcuna rifinitura, ne fanno un capolavoro di grettitudine e di bassezza. Le tracce contenute sono autentici conati di vomito, sputi in faccia al perbenismo dell'oligarchia americana. Ringhio belluino, urla disumane, percussioni (ma sarebbe più esatto dire "distruzioni") provocate da strumenti scaraventati ovunque e fatti a pezzi: sono ciò che costituisce la prima traccia, "Kingsland 61", che altro non è se non uno sfogo omicida, dettato dalla violenza e dalla follia più cruda e irrazionale.

La successiva, "Burn Trees" è già più accessibile, ma sempre priva di ogni logica, con quelle grida spastiche emanate con la finezza di un gorilla che fanno da contraltare ad una linea di basso disumanamente distorta e ripetitiva. Non troverete mai "lyrics" dei Missing Foundation; i brani di questo gruppo non presentano dei "testi" nel comune senso della parola; a loro non interessa che la gente canti le loro tracce, a loro interessa esser marchiati a fuoco nelle coscienze (può sembrare un controsenso, ma dite: si fa prima a ricordare cento parole o cento urla?)." Invasion of your privacy" è avanguardia pura: il titolo del pezzo viene ripetuto fino allo spasimo su un sottofondo a dir poco catastrofico, in cui succede un pò di tutto, così come succede veramente di tutto in "At The Gates": anche qui un urlo, anche qui distorsione, anche qui assenza di umanità, anche qui bestialità.

I brani sono speso immersi in atmosfere tipiche delle manifestazioni e delle contestazioni più radicali (e in questo si vede il lato politico della band). "Message from hell" è un agghiacciante coretto proveniente dalle fiamme dell'inferno, mentre "Go Sit On The Beach" assume la forma del disperato grido di un condannato a morte che trova solo vuoto intorno a sè e rieccheggia su sè stesso. "Jamees Turmoil" è la traccia più "chromiana", che presenta notevole abilità percussiva; la title-track sembra infine ambientata in un lager nazista; tonfi, cingolati e presse industriali ne sono la base "melodica".

Disco sottovalutatissimo, "1933" è uno degli esempi più formidabili di dadaismo estremo, perfetto punto di sutura tra l'industrial dadaismo dei Throbbing Gristle e la furia viscerale dei gruppi hardcore. Sarebbe sbagliato accostarsi a questo album con l'intento di "etichettarlo": "1933" va ascoltato senza pregiudizi e senza intento di giudizo estetico, va "assorbito" letteramente.

Dopo, potreste non essere più i soliti.

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