“though I am a geyser

feel the bubbling from below”

Ed ecco che Mitski arriva al suo terzo ed atteso capitolo “Be the Cowboy”. Il titolo è pregno: il cowboy è il tipico esempio di attitudine americana – arrivi in un posto, distruggi tutto quello che c’era, conquisti e torni a casa osannato. Mitski, che ha avuto un’educazione perlopiù di stampo orientale, è quanto di più lontano ci sia da un cowboy. È tipo una di quelle persone che si scusa se le hai pestato un piede, per il solo fatto di esistere. Perciò per lei, immergersi in questo ruolo così aggressivo è uscire fuori dalla comfort zone.

E proprio questo clash di culture della cantante giappo-americana a creare un’atmosfera misteriosa nelle sue composizioni. Ma se in passato Mitski si era “nascosta” dietro canzoni soft-rock, questa volta, preme il piede sull’acceleratore e punta su un sound più solido in bilico tra rock, country ed elettronica. Si va dai brani più ritmati ed elettrici come “Remember My Name” (con un basso killer molto anni 90) o “Why Didn’t You Stop Me”, al power pop di “Washing Machine Heart” e “Nobody” fino ad arrivare a ballate elettro-rock come “Geyser” (fantastico l’inserto dell’organo nel finale che quasi simula il “bubbling from below” del testo) e “Two Slow Dancers” (rispettivamente riuscitissime apertura e chiusura del disco). Menzione a parte merita il miglior pezzo della sua carriera “A Pearl” che ci regala un crescendo di fiati nel finale da pelle d’oca.

Nel reparto testi, la cantautrice non delude, come al solito. I suoi racconti brevi mettono in luce la difficoltà delle relazioni umane e del mostrarsi per quello che si è, senza sovrastrutture. Difficile non farsi prendere dal racconto in presa diretta di “Old Friend” o della stralunata relazione (con sé stessa) di “Lonesome Love”. Anche in questo caso la cantante appare più sfacciata e diretta che in passato, forse anche per uscire fuori dallo stereotipo della timidezza che i media le hanno cucito addosso (perché le cantautrici devono sempre sentirsi appioppare frasi alla cazzodicane come “questo disco è una trasposizione di un diario, di esperienze vissute”? Questa cosa del diario le porta sempre ad essere viste come deboli e/o teenager che tornano a casa, si fanno un pianto sul diario e scrivono una canzone.).

Insomma, con questo disco Mitski passa dalla “Puberty 2” (titolo del suo secondo disco) alla maturità artistica e lo fa con la sua solita classe, ma anche discostandosi dal sound indie che aveva caratterizzato i precedenti lavori. Che la cantante fosse pronta ad esporsi di più è visibile già sulla copertina: se in Puberty 2 infatti appariva come una ragazzina persa tra i campi, qui la vediamo truccata mentre si prepara ad entrare in scena e conquistarci, con sguardo deciso. E direi che la devastazione e la conquista, almeno nel mio caso, siano riuscite. Ora attendo con ansia il prossimo passo.

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