L'album "Hotel" del 2005 uscì anche in edizione speciale di due dischi. Il primo, che conosciamo tutti, è appunto quella chiavica di Hotel: un inutile, scarno e patinato esercizio di stile, con poche idee ma tanta semplicità. Per deviazione professionale mi è piaciuto anche quello ma non lo ascolto più perchè il dottore mi ha sconsigliato di mangiare plastica. Il secondo disco è invece quello di cui parlerò in questa sede, denominato appunto "Hotel: Ambient". Per come la vedo io il buon Richard avrebbe fatto meglio a far uscire questo invece di Hotel. Avrebbe venduto meno della metà ma perlomeno non sarebbe stato bistrattato dalla critica di mezzo mondo per l'evidente caduta di stile, o ancora meglio, non avrebbe fracassato i maroni per settimane con quell'aborto kitsch che risponde al nome di "Lift Me Up".  Dettagli di marketing a parte, andiamo alla musica del suddetto. Dio. La verità è che sto recensendo quest'album non perchè avessi particolarmente voglia di scrivere, ma più che altro per rendere pubblicamente grazie a questo piccolo grande uomo che forse più di chiunque altro mi ha fatto innamorare della musica quando ero ancora uno sbarbatello. Farò dunque due descrizioni, una obiettiva e una no. Decidete voi quale saltare e quale leggere:

Obiettività (questa sconosciuta): Si tratta di un buon album di musica ambient, senza troppe pretese. La struttura dei pezzi è per lo più circolare, creata (probabilmente) con l'utilizzo di pc, tastiera e piano. Ai brani aggiunge talvolta beat lontani e distensivi (vedi "Homeward Angel" o "Blue Paper"). Non vi si trovano in verità nè molti effetti nè molti strumenti. Come nella più classica tradizione Moby si da molto spazio alle melodie (alla Vangelis, ma molto più semplici, esempi sono i due pezzi già citati, o anche "Chord Sound") ma anche alla cornicialità strictu sensu, come dovrebbe essere per un disco ambient Enianamente inteso ("The Come Down" su tutte). Ci sono un paio di eccezioni nella parte centrale (a mio avviso, le peggiori) in cui Moby divaga senza una direzione precisa (vedi "Not Sensitive" e "Lily") invece di seguire uno schema circolare. Tutti gli altri pezzi hanno uno svolgimento ben preciso, atto a creare progressivamente un'atmosfera di quiete e serenità, sottolineata dal suono particolarmente toccante scelto per le tastiere. Capitolo a parte è invece la techno-ambient a cassa dritta dell'iniziale "Swear", memore del periodo club di Moby. Chiudiamola qui? chiudiamola qui.

Soggettività: Amate le melodie semplici, dolci, toccanti? Siete depressi? Pensierosi? Innamorati? Sensibili? Vi vengono le lacrime agli occhi davanti ad un film drammatico quando subentra inevitabilmente quella tristissima colonna sonora? Insomma, possedete un minimo di umanità? Allora fatevi un piacere e accaparratevi il disco. Punto. Per me è qualcosa di sublime. Certo, sicuramente non è un capolavoro, è inutile pigliarci per il culo. Esistono dischi più ambient di questo, più vari di questo, più seminali di questo, ecc ecc. Eppure, in tutta la sua semplicità (o forse proprio per quella) in questo disco Moby riesce, nei momenti migliori, a toccare le corde più profonde della mia anima con una intensità che non ha eguali. Va dritto al punto e infierisce. Poi non so voi, ma per quanto mi riguarda al primo ascolto della short version di "Homeward Angel" mi sono messo a piangere senza che avessi motivo apparente di farlo. Capirete quindi perchè preferirò abbandonare l'obiettività nella valutazione. In fondo non siamo tutti umani, alla fine?

Grazie ancora Mr. Richard Melville Hall!

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