Una volta sono passato per Barstow, un paesino di ventimila anime nel bel mezzo del nulla della San Bernardino County. Un immobilismo da far impressione, circondato dai primi polverosi accenni di deserto, un luogo fugace e transitorio, dove perlopiù speri di doverti fermare solo per fare benzina e non rimanerci per un lungo lasso di tempo. Una cittadina dove il tuo primo desiderio dev’essere per forza di cose costruire la tua vita altrove, magari più sud, a Los Angeles, alla ricerca del sogno californiano. Tutto questo incipt per dirvi cosa ? Per presentarvi Marshalltown, Iowa. Un luogo che si cala nel Midwest agricolo-industriale, fatto di rettilinei interminabili e pianure che giocano a confondersi con il nulla più vacuo, distese spezzate da Des Moines e poco altro. Eppure da lì, in un luogo che potrebbe essere insignificante ai più sono nati loro : i Modern Life Is War. Capaci di collocare per sempre sulle cartine, non solo geografiche, un anonimo paesino. Cinque ragazzi cresciuti insieme, una famiglia, si potrebbe dire. Fin da ragazzini a cercar di mettere insieme band, a suonare in un locale sgangherato piuttosto che andare in uno squat per divertirsi, immersi nella musica che si ama. E loro adorano l’hardcore punk, quello tosto, e quando decidono di far sorgere la creatura Modern Life Is War si spingono oltre, lo ridefiniscono, lo aggiornano, molto semplicemente, creano la loro formula vincente. E tutti noi ne siamo testimoni, Witness per l’appunto, anno di grazia 2005.

Ecco, avete in mente il sogno californiano che citavo prima ? Di sogni qui dentro ne ritroverete molti, tutti infranti, come un vetro che si frantuma violentemente a terra. Scaglie taglienti che non si possono ricomporre. È lo scenario di una middle class disillusa, raccontata con estrema lucidità da quel cantastorie di Jeffrey Eaton, in un miscuglio micidiale fra riferimenti introspettivi, dove emerge tutta la personalità tormentata di chi sente di camminare su un filo sottile, prossimo al rompersi e sente la necessità di urlare con tutta l’energia in corpo le proprie debolezze e i risentimenti nei confronti di un grigio mondo. È un’onda d’urto lacerante che cresce man mano che il vinile gira sull’impianto di casa. T’immagini proprio il tramonto di una monotona giornata, magari pure piovosa, con lo stipendio da far schifo e l’insostenibile peso di rimaner ancorati a Marshalltown, in un equilibro insopportabile, vedendo generazioni bruciate, conscio di essere il prossimo a doverti abbandonare a quel destino. Oppure no, potrebbe andare diversamente. E te lo dice schiettamente Jeffrey “So what the fuck you are going to do, kid ?", ma non si ferma qui, è un fiume in piena di collera che travolge tutto quello che incontra sul suo percorso. Prende per strada riferimenti da graphic novel (Martin Atchet) per portare a galla il senso d’emarginazione che si può patire, con il graffiato impetuoso ti riporta alla luce guerre che non stanno solo nell’animo, ma che son maledettamente concrete e ti portano via vicini di casa, cresciuti affianco a te, come John & Jimmy. Personaggi inventati ? Fatti reali ? Chiedetelo a lui, tutto è in funzione per combattere l’anomia e l’annientamento della propria personalità.

Un limbo che coinvolge anche i compagni d’avventura di Jeffrey, un dramma dove la melodia cerca di venire a galla in un wall of sound fatto di distorsioni che s’inaspriscono fino a raggiungere climax insopportabili, che in qualche modo devono deflagrare. E lo fanno, eccome se lo fanno. C’è largo spazio ad attimi più intimi e riflessivi, ma quando i Modern Life Is War decidono che è giunta l’ora di premere l'acceleratore verso quei sintomi malinconici non ce ne è più per nessuno. Si cerca di vedere la luce, di cercare una speranza per le strade di Marshalltown e la testimonianza (torna tutto) più concreta non può che essere quella provata sulla propria pelle, che ti fa tener gli occhi sbarrati la notte. Un senso di insicurezza che viene ribadito da questo continuo alternarsi vorticoso e viscerale fra aperture rischiaranti e assalti bonebreaker. Una velocità che viene sapientemente dosata e calibrata alla perfezione, al momento giusto compare, lì per colpirti direttamente nello stomaco. I crescendo son sempre scanditi da un Jeffrey Eaton impeccabile, che tiene le redini dello show ben salde, conscio di aver alleati preziosi come Matt, John, Chris e Tyler nelle inquietudini che stanno portando la spada di Damocle sempre più vicina alla testa dei Nostri. Nessun margine d’errore, il meccanismo è ben oliato e funziona incessantemente.

Il fluire nostalgico giunge velocemente al termine, sembra una piccola istantanea, un fermo immagine perfetto, per nulla scintillante, ma tremendamente veritiero, come la fotografia del 1896 messa lì in copertina da Jacob Bannon, raffigurante Main Street a Marshalltown. È proprio dalla presentazione che si capisce il tutto : noi siamo i Modern Life Is War e veniamo da qui. Non lo nascondiamo, anzi, ve lo diciamo con tutta la passione che ci scorre nelle vene. Non ce ne frega nulla se non vi riconoscete nelle nostre parole, ma noi siamo così, senza filtri. Sinceri e crudi. Avvolti in una realtà che pare un inverno gelido senza fine, proviamo a reagire, a dire la nostra, a realizzare qualcosa che possa cambiare le carte in tavola. Un’ultima disperata mano,

perché We’re all D.E.A.D. R.A.M.O.N.E.S.

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