Il 2004 è stato l'anno che ha segnato la separazione dei fans dei Modest Mouse, chi ha continuato ad amare l'ecletticità del leader Isaac Brook, e chi ha condannato la band per aver venduto l'anima al diavolo (in questo caso la casa discografica Epic).
Preferisco stare tra i primi, tra quelli che ancora apprezzano la genialità delle composizioni dei topi di Issaquah e che ancora sentono sincerità nella voce stralunata di Isaac.

Inutile aspettarsi un lavoro omogeneo e uniforme da questi appena ventenni cresciuti con Pixies, Violent Femmes, Pavement e Tom Waits nelle orecchie. "Good People..." è, come i precedenti lavori, un album suggestivo e emozionante che ha bisogno di ripetuti ascolti prima di arrivare direttamente al cuore.
Ad aprire le danze c'è una tromba, suonata in maniera infantile e insolente che anticipa una delle canzoni più delicate e accattivanti mai scritte dai MM, The World At Large, dove sembra di sentire cori di Beachboysiana delicatezza. Arriva Float On, primo singolo, con quel ritmo sincopato, la cantilena irresistibile di Isaac, che a sopresa di molti è riuscito anche a catturare l'attenzione di alcuni direttori radiofonici nei mesi scorsi.
"E' passata la sbronza a Brook" ci pare di pensare fino alla quarta traccia dove un velo di eccessivo pop (Vade Retro!) sembra essersi impossessato dei nostri ragazzi, ma è un attimo però cadere nelle folli trame del passato; con Dig Your Grave, sgangherata composizione di sola voce e banjo, e Bury Me With It che pare una b-side del miglior Tom Waits, si rimane storditi senza più punti di riferimento.
A quel punto il viaggio è davvero iniziato, verremo ammaliati da luciferine filastrocche (This Devil's Workday), ci sembrerà di passeggiare fra le tombe di Spoon River (Blame It On The Tetons), per poi ritrovarci al calore di un fuoco invernale (One Chance e The Good Times Are Killing Me).

La bellezza delle composizioni dei Modest Mouse sta proprio in questo, suggestivi e emozionanti gli improvvisi cambi di ritmo, le chitarre malinconiche che improvvisamente impazziscono, quell'organo e una tromba che sembrano esser stati dimenticati per anni in soffitta e la voce da loser di Isaac Brook, ti scuotono continuamente senza darti la possibilità di catalogarle, di imbrigliarle in schemi e definizioni.

Un album non facile da assimilare al primo ascolto, ma che alla lunga ti conduce in quel viaggio senza meta che avresti sempre voluto fare.

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