"Sad Sappy Sucker" doveva essere il primo documento della, poi, iperprolifica carriera dei Modest Mouse di Isaac Brock. Venne alla luce solo nel 2001, dopo sette anni di gestazione, per la K di Olympia, la prima lungimirante etichetta a posare gli occhi sulle composizioni monumentalmente romantiche e minimali del combo di Issaquah, Washington DC, pubblicandone il primo 7".
Ed è proprio in quella tradizione nobile del dopo Punk americano che vanno collocati i Modest Mouse di questo primo opus. A metà strada tra Pavement e Guided By Voices elettrici, prima ancora che Built To Spill (altro gruppo, ad onor del vero, benedetto dai 7" dell'etichetta di Calvin Johnson), con i quali condividono una certa vena poetica e malinconica, anche all'interno degli episodi più scarni.
"Sad Sappy Sucker" è un concentrato naif e quasi incompleto, è una sublimazione della disarmonia tra concordi, una fotografia perfetta dell'instabilità e della lascività, qualcosa a metà strada tra una raccolta da cameretta ed una suonata in cantina. Una raccolta di brevi e meravigliosi bozzetti melodici, Rock chitarristico, dove per chitarristico s'intende la capacità di essere perno strutturale senza mai essere sopra le righe. Anzi, è al di sotto di queste ultime, slackerness si diceva un tempo, che si assestano gemme alla "Slanted & Enchanted" come "Worms vs. Birds" o stonate reminiscenze Pollardiane come "Race Car Grin You Ain't No Landmark". Il vero merito dei Modest Mouse era quello di sapere massimizzare il minimo, come volessero dipingere l'autunno con una sola tonalità, e riuscire ad alzare il registro ("Every Penny Fed Cat", bordate chitarristiche degne del miglior Ira Kaplan dei Novanta) senza mai perdere la sonnolenza. In questo senso vanno lette operazioni come "Call To Dial-A-Song", un doveroso quanto sincero tributo ai They Might Be Giants, dove un registratore veniva fatto partire ad ogni telefonata ricevuta, riproducendo le composizioni out, rustiche e casalinghe di Isaac Brock, in grado di ricordare qui la strafottenza piaciona di Daniel Johnston.
Da qui in poi la carriera dei Modest Mouse sarà un crescendo lineare, dalle approssimazioni minimaliste e lo-fi, attraversando la decade con costrutti epici e via via più dinamici, giungendo alle note collaborazioni degli ultimi anni ed una maturazione ed assestamento da terza età, in grado di riservare ugualmente alcuni momenti d'intimismo ed evocazione. Ciò che spesso è venuto a mancare, ed invece è qui totalmente dominante, è la personalità e sincera eversività di questo debutto, invero un album da ricatalogare storicamente - anche alla luce delle tribolazioni dovute alla data di pubblicazione - tra i punti più alti del Rock indipendente americano di inizio anni Novanta.
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