Nel 1988 i Crue tornano freschi freschi da una tournée trionfale di supporto a quello che fino ad allora era il miglior disco della loro produzione "Girls! girls! girls!". La band californiana è all'apice della notorietà: vende milioni di dischi, concerti sold out, sposano conigliette di playboy, diventano celebri per i loro abusi rischiando di morire più volte e di uccidere chi li circonda (Razzle Dingley degli Hanoi Rocks paga con la vita una nottata selvaggia con Vince Neil). Nonostante i dirottamenti verso il sesso la droga e le camere d'albergo distrutte, Nikki sixx e soci sembrano non aver terminato la propria vena creativa, e proprio sul finire del decennio danno alla luce a quello che sarà il capolavoro della band in fatto di critica, vendite e responso del pubblico. Scampata la fine a causa di un overdose che portò il giovane bassista vicinissimo alla morte, la band si dà una ripulita e si getta a capofitto nel loro quinto album in studio, stavolta sotto supervisione del produttore Bob Rock (Metallica, Bon Jovi, David Lee roth).
"Dr. feelgood" vede la luce alla fine del 1989, sul tramontare di una gloriosa decade, la fine di una generazione di metallari cotonati, ma anche l'ultimo album degno di nota dei Crue. Per l'occasione la stesura dei pezzi viene condotta grazie all'ausilio di tutta la band, anche se in tutti i brani primeggia il nome del bassista. La band nonostante l'andirivieni nei paradisi artificiali è musicalmente al top della forma, soprattutto Mike Mars, a mio parere uno dei migliori chitarristi del suo genere: la title-track è un'esempio dei suoi micidiali riff. Chi non conosce il refrain di Dr feelgood? sicuramente non si può parlare del metal 80 senza accennare a questo grande classico. Segue “Slice of you pie”, e il suo finale che omaggia apertamente i Beatles di “I want you (She’s so heavy)” ( già omaggiati in passato con la cover di Helter Skelter). "Kickstart my heart" è un’altra canzone imprescindibile nel repertorio dei Crue, vero manifesto del loro genere: riff potente e ritornello paraculo. Immancabile la ballad piacionica (per coniare un termine alla Gigi Proietti) “Without you” con la sua melodia “strappa mutande”. L’album scorre una meraviglia con brani festaioli come “S.O.S. (Same old situation)” e” She goes down” dove Vince Neil sembrerebbe quasi un vocalist di tutto rispetto (mentre dal vivo è imbarazzante), per terminare alla grande con la ballad da pianoforte “Time for change".
L'album si avvale inoltre della presenza di illustri ospiti: Bryan Adams, Steven Tyler (Aerosmith), Sebastian Bach (Skid row) e Rick Nielsen dei Cheap Trick (Noto compagno di sbronze della band). Un disco superlativo, che convince al 100 %, e conquista finalmente il tanto agognato primo posto nelle charts mondiali (Girls!Girls! Girls! raggiunse il secondo). L’album arriva alla fine di una decade che ha visto i Crue insieme ad altri glitterati colleghi sulla cresta dell’onda, e rappresenta anche il canto del cigno del movimento hair metal, che a quel punto si trovava agli sgoccioli. L’inversione di tendenza è dietro l’angolo, e d'un tratto quel rock and roll potente dal refrain accattivante, e dai testi all'insegna del disimpegno culturale viene reputato polveroso, retrò, buffonesco. Gli anni novanta porteranno nuove tendenze musicali (grunge, crossover indstrial...) e nuovi idoli, tra i quali i parrucconi pieni di lacca a fatica riescono a ritagliarsi il loro spazio. Personalmente io mi godo l’era d’oro, di cui "Dr feelgood" rappresenta il capolavoro, un album che sa di sudore e cerone, un misto di rock macho e immagine androgina, un album che parla di donne di party e brutti ceffi, ma prima passa ore davanti allo specchio a sistemarsi trucco e capelli. Questo è il glam, questi sono i Motley Crue, delle grandissime teste di cazzo lo so, ma è da malati non riconoscergli una fetta di storia del rock anni ottanta.
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