Non ricordo quasi nulla.

Ero già più che soddisfatto dell'investimento fatto, dopo la prestazione degli '65 Days Of Static', gruppo a me sconosciuto e che valeva da solo i 15 euro dell’ingresso.

Poi 5 folletti venuti dalla Scozia prendono il palco. Dopo poco più di un ora sono seduto sul prato, il mio compagno di trasferta mi guarda ma non mi vede, c’è il vuoto nel suo sguardo. Come nel mio.
Mi chiede di dirgli qualcosa, ma che cosa si può dire. Lucidi e privi di sensi. Da lì al sonno niente avrà più importanza.

Come rapito dagli alieni per provare un’esperienza che trascende ogni emozione, ogni stato d’animo e ogni pensiero, ho chiuso gli occhi e la mia testa ha cominciato a ciondolare. Frastornato da un diluvio di pioggia sonora, confuso tra qualche centinaio di eletti. Un brivido esplode ogni poro della mia pelle, mi scava nelle vene e nelle ossa, percuote e ribalta la mia anima. Poi si espande lentamente, mi inonda, diventa totale assenza di peso, di tempo e di dimensione.

I Mogwai fanno da fertilizzante per la percezione, spostano la levetta al massimo. Affiorano ricordi e presagi del futuro. E poi ancora un connubio di sensazioni opposte, l’ansia e la tranquillità, l’amore per la vita e l’idea della sua fugacità. Mi sento al centro di tutto questo, nello stesso tempo baciato dalla fortuna per essere li. Un viaggio commovente, sfiancante, alienante.

La quintessenza della musica, nella sua capacità di riavvicinarci alla nostra dimensione più umana e, per chi ci crede, a quella divina. Un esperienza illuminante. Lo auguro a chiunque.

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