Tuffarsi nei ricordi. Lasciarsi trapelare dalle spaventose e scroscianti onde del passato infranto.
C'è una donna bella, anzi, no, bellissima e se non è bellissima ha un carisma sorprendente. Mi guarda lontana con i suoi occhi da cerbiatta bastarda e una voce meravigliosa, da sirena jazz in grado di incatenarti alla sedia, senza speranza di fuga. La vedi pavoneggiare nei ritmi kitsch che si è trascinata dietro, in due album solisti non proprio eccezionali, la vedi esitare di fronte alle tamarrate retrò che fanno molto chic, ma che non graffiano. La vedi ostentare tutto con la voce, mentre la struggente e minacciosa ombra del passato le succhia il collo.

I Moloko. Dio bono, i Moloko.
Una delle più belle e poco considerate realtà musicali electro-jazz-trip hop di fine anni '90 e inizio '2000. Ricordati solo per un paio di singoli con i controcazzi come una scoppiettante "Sing It Back" e una meravigliosamente elegante "The Time Is Now", uno dei migliori modi per salutare il nuovo millennio che all'epoca era atteso con gli accendini danzanti. E con il 2003 salutano, disgraziatamente, la loro carriera breve, ma sicuramente incisiva. Non che abbiano inventato molto, ma hanno aggiunto polvere di stelle ad un genere che in quell'epoca sembrava fin troppo inflazionato. E non c'era miglior saluto che "Statues", un disco che è di una bellezza disarmante, passato quasi inosservato rispetto ai precedenti. Ed è un peccato, perchè mentre i precedenti dischi sgorgavano in un numero spesso abissale di canzoni, "Statues" in soli dieci pezzi ti racconta l'universo.

Omogeneo, ma mai ripetitivo. Involontariamente chic per un'eleganza mai forzata, rimane impresso in più momenti. Perchè bisogna proprio trovarli, scavando in palate di merda, dischi così sconcertatamente sensuali, che in apertura ti spiattella uno dei più grandi capolavori pop degli ultimi dieci anni: una favolosa, mastodontica "Familiar Feeling", quasi 7 minuti di continue ellissi vocali e vortici imperturbabili di ritmi e violini, che si apre con due minuti spaziali di puro ritmo affannoso, per poi distruggere completamente l'oasi danzereccia in quello che è un originale swing electro trascinante impossibile da cancellare. E sebbene l'incipit sia l'apice di un album che continua a sbocciare come una rosa, pezzo dopo pezzo, anche gli altri pezzi riescono a insinuarsi nei timpani dell'ascoltatore. Persino brani power come la pompatissima "Forever More", che in altri sette minuti sintetizza in tonalità più poesanti e danzerecce il sound Moloko, riesce ad assumere una veste elegante e sontuosa, curatissima ma non ambiziosa né autocompiaciuta: il ritornello facile, le movenze, i battiti studiati nel minimo dettaglio, lo sgorgare tremante della voce...tutto diventa paradossalmente intimo e vitale, un nuovo apèiron.  

Sensazione provata anche nella splendida title-track, ballad jazz che riesce ad unire in un vortice di emozioni spirituali il caldo e il freddo, trasformandosi ad ogni nota, fino a che il ritornello pacato e dolce ci si avvolge attorno, fino a diventare parte stessa del corpo. Intima e sexy è anche "Blow By Blow", dolente ma non straziante, si mantiene sulla sua linea jazzy e sugli intrecci vocali, diventando uno splendido e semplice fiore da regalare a chi si ama.

"Statues" è uno di quegli album che va vissuto in ogni singolo attimo, che va scavato in profondità per capirlo meglio. Non tanto perchè sia di difficile ascolto, anzi, ma perchè è composto da una rete immagnifica di sensazioni primordiali, sospiri e piccole, grandi trovate musicali tutte da scopire, dove persino brani piccoli come "The Only Ones" nascondono un'anima immortale e dove semplicità e complessità si combinano, dando vita a trovate jazz come l'incantevole e coinvolgente "I Want You".

Un album che è il canto del cigno di una delle più belle realtà dello scorso decennio.

Se solo si trovasse il coraggio di riscoprirlo...

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