Non ci sono eroine da salvare e riportare a galla da un mondo subacqueo. Non c’è epicità, né pompose orchestre sinfoniche. Siamo lontani dai trionfi di "Hymn to the Immortal Wind". Il finale sarà molto poco da blockbuster hollywodiano.
La luce fa fatica a filtrare. E’ un regno dove gli occhi di chiunque dovranno riuscire a navigare a vista nelle tenebre.
Il dolce preambolo “Where i am” illude crudelmente i padiglioni auricolari dell’ignaro ascoltatore che poco dopo verrà trasportato in un duro e lungo viaggio verso lande aride e sconosciute, dove la vita è cessata da eoni. Ci sono solo macerie, deserti, lapidi e fango. Corvi neri come severi guardiani scrutano dall’alto il panorama sottostante.
“Com(?)” è solo l’inizio della fine. Siamo già ai titoli di coda della civiltà. Corpi inermi, ma ancora integri, rotolano verso il nulla attratti da qualcosa di spaventoso. Soltanto discariche di rottami metallici e di brandelli di carne per chilometri. Strappati dai propri cari, strappati dalla propria quotidianità. Una prova di resistenza fisica e psicologica al dolore. La stessa sensazione che si prova ad ascoltare l’interminabile coda noise. La soglia di sopportazione verrà vinta, la sconfitta è già in bocca al firmamento. “Halo” è solo una bugiarda illusione di linfa vitale.
In lontananza si scorge un campanile con quello che è rimasto in piedi di una chiesetta gotica. Si ode un requiem ferale. Lugubre, di pessimo gusto, ma anche rassicurante. La speranza non sarà più una trappola. L’(in)cosciente accettazione che le nostre volontà sono state azzerate. Siamo stati trasportati altrove prima di essere disintegrati.
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