Spesso ho pensato a onor del vero che il post-rock in genere, o come esso voglia chiamarsi, spesso finisse per avvolgersi in una ragnatela dalla quale non si potesse liberare facilmente e rimanere intrigato a vita senza laciare nulla di buono. La forza dirompente che ha avuto agli inizi con precursori quali Mogwai o G. Y. B. E, è andata lentamente ad affievolirsi ed oggi è rimasto, alla resa dei conti, un genere fine a se stesso con una cerchia ristretta di cultori che lo seguono quali il sottoscritto.
I nipponici Mono portano alla luce questo quarto lavoro senza sgarrare di una virgola sia dal punto di vista tecnico che atmosferico; il punto di forza della formazione giapponese è infatti la capacità di creare situazioni ascendenti, climax carichi di tensione che passano da momenti di pura tranquillità a muri di suono che sfiorano il metal più oscuro e maligno. La struttura è più o meno uguale in tutte e sei le tracce, non c'è spazio a sorprese, alla fine tutto è scontato ma assai elegante che rimane difficile non innamorarsi di queste melodie ancestrali e rarefatte, esplosioni sonore studiate per sbalordire chi è all'ascolto (Steve Albini ha curato la produzione e si sente).
Basta ascoltare i primi tre minuti di The Flames Beyond The Cold Mountain e si intuisce subito dove i Mono andranno a parare; questo infine il rischio che si corre ascoltando l'album, avere quella sensazione di "scontato" che potrebbe far diminuire il valore a questa mezza dozzine di perle. Al di là di queste considerazioni il disco risulta solido, un must per chi come me ama questo genere e lo farà ancora per molto.
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