Ho letto con gioia di tante band psichedeliche anni ’60-’70 e allora mi sento in dovere di scrivere di una band che da un decennio circa scrive, arrangia e suona in stile soul-psychedelic.

Sono arrivati nel mio orecchio solamente nel 2012 con la cover “Bang Bang – My Baby Shot Me Down” di Sonny Bono, canzone che non ho mai amato particolarmente, ma in questa versione (al contrario di quella horrible di Carla Bruni) sono arrivato con una certa curiosità e goduria al termine della rivisitazione.

Kelly Finnigan (voce, organo e tastiere), Austin Bohlman (batteria), Ian McDonald (chitarra e cori), Myles O'Mahony (basso e cori), Alex Baky (sassofono, ora non più membro del gruppo) e Ryan Scott (tromba e cori) hanno radici funk e di funk nei primi album ce n’è a iosa, ma questi ragazzi di San Francisco, che non ti regalano chiose, ma ti pagano il contributo d’ascolto con brani che hanno vibrisse d’oro e d’argento, hanno preso un po’ di Motown e l’hanno messa nei loro motori sonori per quest’album del 2015.

A mio personale giudizio la cosa più entusiasmante dei “Monophonics” è la voce di Finnigan. Arriva dritta ai ricettori del cervello e non ne esce più: graffiante, sporca quanto basta, precisa, ma non troppo, estensione notevole, potenza vocale paragonabile a quella di Leon Bridges, oltre a tutto ciò rimane sicuramente un tastierista/organista più che valido.

Il 6/8 di “La la la love me” sembra uscire spettralmente dagli anni ’60, così come “Falling Apart”, una ballata malinconica, con echi, strascichi di chitarra e con un arrangiamento di archi e ottoni da far accapponare la pelle.

Potente “Hanging On”, drumming latino, molto più vicina al soul che alla psichedelia, esattamente il contrario di “Lying Eyes”, dalle chitarre Memphis-style e con un testo con il cliché del rapporto menzognero uomo-donna: “All of the lies won’t give you back / back your time / I’m waiting for the day when you / stop wasting mine”.

La canzone che dà il titolo all’opera “Sound of sinning” ricalca in pieno lo spirito anni ’70 con il metallofono giocattolo, il fischiettio della melodia e l’accompagnamento dei cori, il tutto registrato in ottica assolutamente low-fi.

I miei pezzi favoriti risultano “Strange Love” (una chitarra vaporosa ed un organo suadente spediscono l’ascoltatore indietro negli anni), “Promises” e “Find my Way Back Home”. Le ritengo tre bombe sonore che mettono in risalto la voce di Finnigan (che è inspiegabilmente bianco, caucasico), le chitarre perfettamente detuned, vibrate e “wa-waizzate” di McDonald e gli arrangiamenti per ottoni, voluttuosi e accattivanti, il tutto sospinto da Bohlman che alterna uno spirito be-bop, a rullanti che spaccano il 4.

Menzione cinematografica per “Everyone Got…” che ha due accordi base e sono gli stessi di “Chan Chan” (“Buena Vista Social Club”) e potrebbe essere tranquillamente usata come base-track per “Westworld” o altri film o telefilm sui generis con un pizzico di western.

Un disco probabilmente più soul che psichedelico, devo ammetterlo, ma che a mio avviso vale assolutamente la pena di ascoltare per farsi un bel revival (che revival non è)

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