Ho sempre considerato i Moon Duo come il progetto secondario di Ripley Johnson e come quello che poteva essere una specie di divertissement a latere del progetto principale, quella gloriosa band che sono i Wooden Shjips e di cui qui ne riprendeva lo stesso impeto, però con una estetica più accattivante e una maggiore facilità di suono, meno drone e allo stesso tempo molto più 'indie'.

Naturalmente non si tratta solo di una questione semplicemente di suono quanto di estetica. Da questo punto di vista la formula Moon Duo, fondata sulla partnership tra Ripley Johnson e la sua compagna, la tastierista Sanae Yamada, si è rivelata assolutamente vincente e alla si può dire che in qualche modo ha ottenuto nel tempo maggiore successo presso il pubblico che gli stessi Wooden Shjips.

Non parliamo, è evidente, di un successo di massa, ma sicuramente i Moon Duo sono andati oltre quelli che sono i confini del 'genere psichedelico' e dei suoi appassionati, che magari anzi in parte si sono nel tempo discostati a livello di interessamento da questo progetto, che fondamentalmente ha i suoi fondamenti sui seguenti presupposti: minimalismo rock and roll, impiantistica 'motorik', sonorità corpose e allo stesso tempo ripetitive, persino monotone, utilizzo accattivante dei synth.

Di conseguenza la produzione discografica dei Moon Duo è cresciuta in maniera esponenziale nel tempo fino a quest'anno in cui Johnson e Yamada hanno praticamente deciso di pubblicare due album incentrati sullo stesso concept o meglio su quelle che sono le tipiche due facce della stessa medaglia.

Realizzati entrambi con la partnership dello storico collaboratore Jonas Verwijnen, 'Occult Architecture' ci viene presentata come una magnificente opera psichedelica in due atti e che prende a riferimento sul piano concettuale i principi della filosofia cinese che si rifanno all'armoniosa dualità tra luci e ombre, Yin e Yang.

Il primo volume, uscito su Sacred Bones lo scorso febbraio, rappresenterebbe lo Yin, il cui significato sarebbe 'il lato oscuro della collina' e associato come tale ai concetti di femminilità, oscurità, notte, terra. Che poi sono le materie trattate dal disco, volutamente pubblicato durante la stagione invernale, e che ci appare come tale in qualche maniera monotono e privo di spunti emozionali cosmici e in qualche maniera carichi di luce e energia positiva.

Certo, a latere, risulta discutibile l'associazione di questo tipo di caratteristiche con quello che è il concetto di 'femminilità'. Qui dipinto secondo dei cliché che vogliono il sesso femminile essere in qualche maniera oscuro e legato alla notte, quindi 'felino' e possibilmente misterioso, ma allo stesso tempo nella mia semplicità di estimatore del genere mi domando quanto sia 'settaria' e limitante questa definizione e chiaramente legata a principi in qualche maniera solo di tipo metaforico e rappresentativi. Tra questi probabilmente il legame tra la donna e in qualche maniera il considerare 'occulto' temi come la riproduzione sessuale oppure il concetto di 'terra' inteso come 'fertilità' e in quanto tale istintivamente collegato in prima battuta per forza di cose alla donna.

Ad ogni modo, il disco come da premesse, è privo di particolari spunti emozionali e in qualche maniera si presenta come una riproposizione di sonorità che si rifanno a periodicità tipicamente dark-wave come ad esempio nell'uso della sezione ritmica che può ricordare band come Siouxsie & The Banshees oppure i Bauhaus invece che le esperienze più tipicamente kraut-rock che spesso sono considerate un punto di riferimento per la band.

'The Death Set', la traccia che apre il disco, è un tipico esempio in questo senso: la sezione ritmica è assolutamente minimale, a fare la differenza - nel caso - è l'utilizzo del suono delle chitarre che si estende a dismisura con un eccessivo e affatto dosato utilizzo del phaser. Che poi è una costante della band e ripresentata nei dieci minuti finali di 'White Rose, la traccia conclusiva e che in qualche modo costituisce una summa del Moon Duo suono in questo preciso momento storico e con dei rimandi nelle atmosfere ancora a quella che è una certa cultura suburbana degli anni ottanta.

Non c'è niente di particolarmente nuovo in questo disco. 'Cold Fear', 'Cult Of Moloch' propongono quel tipico rock and roll monotonico anche nella forma cantata tipicamente Moon Duo; va meglio con 'Creepin', dove si riscontra una maggiore vitalità in una specie di cavalcata rock progressive potente e prorompente e con un cantato da parte di Sanae Yamada finalmente convincente; 'Cross-Town Fade', ossessiva e frenetica come una pista da ballo tardo-hippie e con impazzimenti post-kraut; l'easy-listening di 'Will of The Devil'...

In definitiva non lo considererei un disco carico di spunti particolari e lo colloco un gradino sotto le altre produzioni discografiche del duo, anche perché alcune soluzioni sonore nell'uso delle chitarre e dei synth secondo me sono in qualche maniera se non fuori luogo, quasi stonate: alterano l'impianto 'monotono' delle singole canzoni. Che ci può pure stare. Ma avrei preferito a questo punto una scelta netta che evidentemente questo duo non si propone di fare perché non è un gruppo psichedelico, né un gruppo kraut-rock, ma oramai una vera e propria realtà nel vasto universo dell'estetica 'indie'.

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