DIVINE CLOCHARD.

Attraversare il secolo
dentro l’oscurità di una cecità sopraggiunta quand’eri ragazzo, attraversarlo come attraversi il mare di suoni che senti solo tu, sospinto da una energia gentile che si trasforma nelle musiche che stratificandosi, sciogliendosi l’une nelle altre, diventano la tua musica.
Attraversarlo in perfetta solitudine, come un cane illuminato dalla opalescente luce lunare.

Come un cane lunare lungo le strade di New York, sui suoi marciapiedi, negli anni ’50, vendendo ai passanti i tuoi i spartiti, agli stessi passanti ai quali regali tasselli dello sterminato mosaico che stai componendo.
Sei un musicista di strada, come tanti, in quegli anni.
Ma come nessuno, mai più, sarà.

La miniera del suono è vasta e in virtù del tuo sguardo senza luce, che pare vedere più nitidamente, quella vastità trova a volte modo di mostrarsi in minuscoli spazi, pochi minuti dentro ai quali si avverano incontri magici.
La musica da camera incontra il jazz, la voce è strumento tra gli altri, come le onde o il canto d’uccelli. E poi le composizioni “classiche”, l’assemblaggio di parti registrate separatamente, i madrigali, l’uso di musiche che giungono da qualche altrove e che si fondono nel tuo mare sonoro.
Anticipando con naturalezza quel che un giorno chiameranno cut-up, minimalismo, post moderno, world music. E chissà cos’altro ancora.

Attraversare il secolo muovendo i tuoi passi su una linea di confine che superi incessantemente, attingendo dalla miniera inesausta, per consentire a quel che è “basso” d’incrociare ciò che è sublime.
Con la naturalezza e l’ingenuità di un colto autodidatta che, come spesso accade agli autodidatti, è mosso da una fame onnivora, enciclopedica.
Mentre avanzo dentro il multiforme e cangiante paesaggio sonoro che hai concepito, nel corso di un’intera esistenza, una sensazione costante, che pervade ogni frammento, mi accompagna.
Rende questo paesaggio unico, lo amalgama perfettamente.
Ed è la tenerezza, una tenerezza che è forza e dolcezza. Che è stupore. E calore. Quel che si prova dinanzi a cose vere, nelle quali percepiamo l’accuratezza e l’amore che hanno mosso le mani di coloro che le hanno costruite.
Non accade così spesso.


Louis Hardin, più noto come Moondog, nato in Kansas nel 1916, è un personaggio unico nella storia della musica del secolo passato. Musicista e compositore, poeta e commediografo, ha davvero attraversato il secolo a bordo di una gentile macchina del suono, a volte vestito da vichingo, come potrete osservare cercando qualche immagine in rete.
Esistono molte incisioni e alcuni cd che testimoniano parte della sua proteiforme attività, specie della prima parte di carriera, pubblicati dalla Prestige. Taluni molto percussivi, con uso anche di strumenti costruiti da lui stesso, altri con improvvisazioni pianistiche, altri che attingono dalla tradizione rinascimentale e barocca. Tutti, per un verso o per l’altro, sembrano anticipare in certi momenti, in modo assolutamente unico e personale, soluzioni e scenari che verranno.

Il doppio, bellissimo, cd che presento qui, (2004, ROOF Music) con un libretto ricco di note, informazioni ed immagini, raccoglie, su un disco, parte della sua ultima produzione musicale, realizzata durante gli anni trascorsi in Germania, dove visse a partire dal 1974.
Si apre con “Bird’s lament”, (quanto mi piace questo brano) composto in onore di Charlie Parker, (che egli conobbe) quando Moondog seppe della sua morte. E prosegue con 21 brani attraversati dalla sua poliedrica delicatezza, tratti da 7 diversi album, concludendosi con un frammento della sua opera più ambiziosa, The Creation.
Nel secondo cd trova spazio la registrazione del suo ultimo concerto, tenuto ad Arles, in Francia, un mese prima della morte, avvenuta in Germania nel 1999. Brani brevi, densi di semplice bellezza, eseguiti al pianoforte con Dominique Ponty.

Ho trascurato negli ultimi anni questo signore e il suo mondo, che avevo incrociato per caso, molto tempo fa, per poi abbandonarlo distolto da chissà quali sirene.
Sono contento di poter usare questo spazio per dare un poco di visibilità alla sua figura, al suo lavoro.
Sto ripercorrendo il fiume del tempo a ritroso, attraverso i cd che riuscirò a reperire.
E vi invito ad intraprendere un viaggio simile, come randagi, sotto la sua luna.
Isolati ed affrancati per un po’ dal frastuono delle “nuove novità”, lungo l’umile, antico e lussureggiante sentiero del “divine clochard”.

Bye bye, Louis.

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