Tornano. Gli incubi, tornano sempre. I contorni a volte li si riconosce, a volte no. Hanno profili cangevoli e a volte non si riesce proprio a capire quali siano i lembi che li demarcano. Ci si aggrappa a poche e stentate permanenti sicurezze. A volte no. Come nel caso dei Moonspell.
Questa band nel corso del tempo ci ha veramente goduto un sacco nel, ogni volta e ad ogni uscita, confondere le idee dei fans e degli ascoltatori. Io me li immagino i fans dei Moonspell: non sanno mai a che santo votarsi, che stile e che parole usare, secondo quali canoni catalogare, quale impostazione dare ad ogni loro affermazione. Saranno certamente insicuri e spaventati. Di sicuro, sempre ammaliati dalla musica di questi quattro portoghesi. Quattro più il bassista di turno, che tra un disco ed un altro degli Amorphis, si permette pure il lusso di collaborare con altri pezzi da novanta.

Ma i Moonspell sono così. Tornano a distanza di poco da una raccolta dei loro maggiori successi (parlo di "The Great Silver Eye", che più avara non poteva essere, visto che non aveva in scaletta manco un inedito), e da una riedizione raffinata e crudele delle loro prime canzoni ("Under Satanæ"). Anche di quelle che pubblicarono quando si facevano chiamare ancora "Morbid God" quando non credo proprio pensassero loro stessi a dover raggiungere un successo così sostanzioso, come poi hanno invece percorso.

Ma eccoci ad oggi invece. E siamo quì a dare qualche impressione su questo nuovo di zecca "Night Eternal", ultima fatica del gruppo, e che, per riallacciarmi al discorso di sopra, sono sicuro darà del filo da torcere ancora una volta a chi pensava che le deviazioni armoniche dei Moonspell prendessero una via più perigliosa e da scassacollo rispetto a "Memorial", loro ultimo disco completamente inedito.

Non è così. Almeno, a prima vista si è ingannati. Le canzoni non sono poi così ondivaghe e cariche di quella bestiale sensualità che tanta fortuna diede alla band in passato. I suoni sono per la maggior parte pompati e potenti. Dettati dalla rabbia più che da un sensismo empirico vero e proprio; fanno la loro bella figura a sentirsele nel lettore al massimo del volume. Ma il filo conduttore che è la vera chiave per districarsi nell'universo antropomorfo della band di Fernando Ribeiro c'è eccome e si sente: quella vena gotica e decadente, qualle chitarre pesanti e brutali che però ad un certo punto "staccano" dalle loro serrate cavalcate ferali per distinguersi nel giro acuto, smorzato dai cori epici e dai rantoli bestiali del cantante, ci sono sempre.
Solo che viaggiano ad una velocità e secondo uno schema pensato e prodotto apposta perché solo dopo molti ascolti vengano ben capiti.
Dopo due o tre volte a fare e disfare si viene colti dallo sgomento. Come è possibile che i Moonspell siano scaduti così? Allora era vero che la loro vena si era irrimediabilmente inaridita!
Dopo dieci e più ascolti invece la faccia si illumina, e si comincia a capire qualcosa di "Night Eternal". Certo, la voce di Fernando da sola non ammette flop e resusciterebbe persino i morti, l'aggressività derivata dalla loro matrice Black Metal è messa lì a bella posta proprio per fare da specchietto per le allodole. Ma non è questo il fulcro su cui si muovono le coordinate del disco.
Bestemmiando, si potrebbe dire che è una sapiente miscela tra il cupo "The Antidote" e il feroce "Memorial". Ma è riduttivo pensarla così. Serve solo per bestemmiare. Eppure la sensazione è quella. Basta ascoltarsi proprio "Night Eternal" stessa: una sezione ritmica schiacciasassi che non ammette pregiudiziali melodiche di sorta, ma che, sotto sotto si concede il lusso di accoppiare l'aggressività sulfurea con le tastiere epiche, plumbee ed impastate che si intravedono come uno spiraglio di luce. "At Tragic Heights" ne è esempio ulteriore. Oltre, a mio parere, ad essere il brano più riuscito dell'intera scaletta. Quello che, pur conservando un'anima tremendamente caustica ma al contempo romantica, non cede alle tentazioni "Industrial" che quì e là fanno capolino tra i brani.

Eccola un'altra novità. Le elucubrazioni industriali, che, se non si parlasse dei Moonspell, sarebbero un argomento che tanta notizia in sé non fa proprio. Ed invece dei Moonspell parliamo, e di ogni cosa questi suonino si è portati a distinguere dall'altra.
"Scorpion Flower" è stata la canzone che la band più ha strombazzato ai quattro venti, facendola passare per il singolo/simbolo del disco intero. Ed in questo io debbo dire che hanno preso una grossa cantonata. D'accordo che si avvale della collaborazione di Anneke van Giersbergen, sensuale ex cantante dei Gathering, che già è un punto di curiosità, ma, ve lo assicuro, non si va più in là. La canzone, di cui è già stato pubblicato il video (e che per certi versi è davvero imbarazzante: vedere Ribeiro che si atteggia come un moderno Bela Lugosi nei panni di vampiro fa parecchio ridere), è il più affettato stereotipo che i Moonspell abbiano potuto dare. Coi soliti ingredienti: voce sensuale, riffone spaccaossa, coro singhiozzato a due, poi di nuovo voce sensuale, poi di nuovo coretto, e il fegato se n'è già andato in malora. Logico, parliamo sempre di un brano di classe, come non potrebbe essere altrimenti. Ma nel disco c'è di meglio. Non c'è dubbio.

Passata la prima parte, diciamo così "sparata" nelle orecchie per far ricordare a tutti di chi si sta parlando, si arriva alla seconda, più intricata e sicuramente più difficile da apprezzare a prima botta. "Moon in Mercury", il brano più legato al passato dei portoghesi, questo sì senza troppi cambiamenti e sbavature gotiche, che cede il passo alla ferocia urlata e cieca; "Here is the Twilight" che si muove invece su binari più epici e dove è più marcatamente palese il segno delle tastiere, e "Dreamless (Lucifer and Lilith)" che sposta l'attenzione ed il ricordo ad un disco troppo sottovalutato come "Darkness and Hope", rivalutandone le ombre e le sensazioni che ne scaturivano, arrivando a sembrare quasi una canzone che all'epoca fu scartata dalla scaletta. Il bello, però, arriva alla fine, quando ci si imbatte, prima in "Spring of Rage" e poi, soprattutto in "First Light". La prima inizia con un attacco ben riuscito e raschiante, per poi aprirsi in un crogiuolo melodico e sensuale, appunto, come ho sempre dichiarato, "bestiale", poi stacca improvvisamente, pur essendo sostenuta da chitarre piene e morbose, in una scarica di adrenalinica cattiveria. Gratuita, un pò fine a se stessa. Proprio come i Moonspell ci hanno sempre abituato. La seconda invece, si muove su sentieri più calmi, certamente gotici ed oscuri, e che farà la gioia di tutti. Ne sono certo. Avete presente "Full Moon Madness", la canzone che ad ogni loro concerto fa sfaceli tra i fans? Ecco, questa si candida ad esserne il naturale prosieguo, e ci mostra una band in straordinaria forma, da qualsiasi punto di vista la si guardi: le parti sono stravolte e vengono profusi con straordinaria versatilità ed eleganza sensazioni ed umori che forse nessuno si ricordava più. Cattiveria, sibilli satanici, accordi persi nel buio, sensualità, sensualità, sensualità

Che cosa cercate nei Moonspell?
Se non lo sapete, allora questo disco vi piacerà, altrimenti fate un passo indietro e riascoltatevi i loro vecchi lavori. Sicuramente ne troverete qualcuno che vi garberà più di questo. Io invece so bene che cosa cerco in questa band, e con questo album posso dire di essere abbondantemente soddisfatto.

Carico i commenti...  con calma