Questo disco, tristemente, segna la fine del mio rapporto con i Moonspell.
Un rapporto iniziato verso la fine del 1995 grazie ad una cassettina avuta da un tape trading, un amore a prima vista che ha accompagnato il mio passaggio da adolescente a uomo per 20 anni, fatto si di alti e bassi ma sempre molto intenso, anche quando il tradimento (da parte loro) è stato doloroso e reiterato ma comunque sempre assolto.
Di certo i portoghesi hanno vissuto molte vite e cambiato parecchi pelli nel corso della lunga carriera, ma il motivo che ha sancito la rottura col sottoscritto è stata la scelta stilistica che pare abbiano deciso di intraprendere: una sorta di goth metal a pesantissime tinte anni 80, già ampiamente battuto nel precedente “Alpha Noir/Omega White” specialmente nel secondo disco e che riecheggia pesantemente dopo i ripetuti ascolti di “Extinct”.
Non un pessimo disco, sia chiaro, ma una sterzata stilistica in una direzione che non mi pare li premi molto, lontana dalla furia controllata di “Night Eternal” (tanto per citare un lavoro recente) e chiaramente (e senza colpa, aggiungerei) ad anni luce dai primi (capo)lavori.
Dopo un inizio poco convinto, il disco scorre via senza grosse lacune ma senza neanche pregi particolari, alternando brani gustosi ad altri di una banalità impressionante, quasi delle pop songs con chitarre distorte; in comune c’è sempre la pesantissima produzione, carica di tastiere stucchevoli degne di un goth club della Berlino anni 80 e le linee melodiche che spesso cercano il ritornello catchy senza riuscirci.
Fernando Ribeiro, da sempre vero e proprio mattatore, è indiscutibilmente il focus del disco e fa male sentirlo cantare melodie scialbe e senza senso come l’orientaleggiante “Medusalem” ma soprattutto “The Last of Us”, quasi un plagio ai Depeche Mode; personalmente rabbrividisco a pensare una di queste canzoni riproposte live accanto ad “Opium”, “Alma Mater” e chissà quante altre!
Gli episodi migliori escono senza dubbio quando i nostri cercano di uscire dall’anonimato della struttura intro-strofa-ritornello-strofa-ritornello-assolo-ritornello, soprattutto nei pezzi in ¾ (“Domina” e lo swing malato di “La Baphomette”) o dove estremizzano il concetto di “catchy” risultando anche gradevoli, vedi la pop-issima “The Future is Dark” o le bonus tracks dell’edizione limitata, per una volta vero e proprio compendio al disco e non semplici riempitivi per spillare qualche euro in più.
Non so quanto durerà la nostra separazione e non so se riuscirò a perdonare quest’ennesimo tradimento (comprensivo si, ma qua cominciamo ad essere ai limiti del coglione!) ma so che probabilmente alla prossima uscita sarò ancora il primo a dare un’altra chance a questi guasconi lusitani; anche se non sono sicuro che il mio povero cuore ferito possa sopportare un altro disco in questa direzione, spero che il ricordo di lavori come “Night Eternal”, “Darkness and Hope” o addirittura “Irreligius” li convinca a tornare sui loro passi e darci la furia gotica che ci spetta.
Dopo 20 anni, penso di meritarmelo.
Carico i commenti... con calma