Occorre anzitutto fare una doverosa premessa ed una riflessione nei riguardi di questo "Under Satanæ ". Si tratta infatti, per tutta la sua durata e per tutte le canzoni che lo compongono, di quello che i cineasti chiamano "Remake". Un rifacimento di canzoni che i Moonspell già avevano pubblicate rispettivamente nel 1992 per quanto riguarda "Serpent Angel", che fu, per chi non lo sapesse, il primissimo vagito di una band, i Morbid God, che poi, per magia alchemica diverrà uno dei gruppi più originali e seguiti, nel bene e nel male, della scena Gothic Metal mondiale con una nomenclatura diversa, logico, ed un'attitudine del tutto originale e stupefacente (almeno per quei tempi, si capisce). Per quanto riguarda invece le tracce a seguire, queste sono composte dal contenuto del primo demotape dato alle stampe nel 1993 "Anno Satanæ", quando già si chiamavano Moonspell, e del mini disco a seguire "Under the Moonspell". Dunque niente di nuovo sotto al cielo, e questo vale per precisare.
La riflessione, invece, è insita nel fatto che oggi, purtroppo per i Moonspell, ma anche per noi fans che li abbiamo amati e seguiti sin dall'inizio, di anni da quegli esordi ne sono passati quindici, e i tempi sono cambiati, per, c'è chi dice "merito", c'è invece dice "demerito" della band stessa che, quasi ad ogni uscita ha sferzato gli ascoltatori intraprendendo una direzione artistica sempre diversa.
Al di là del fatto che questo possa essere quantomeno disorientante, nulla toglie al merito dei Moonspell nell'aver innovato o inventato un filone di genere che in molti hanno apprezzato ed apprezzano (ed io sono tra questi ultimi), ma quantomeno occorre essere obiettivi e riconoscere che ultimamente, e parlo di quest'anno che si sta consumando, la vena creativa della band sta inesorabilmente inaridendosi.
Mi duole fare questo discorso, ma per onestà e per ragionamento logico, io non arrivo a nessun'altra conclusione. Altrimenti, che senso avrebbe pubblicare a distanza di qualche mese una raccolta di brani ("The Silver Eye") che non ha aggiunto proprio nulla alla loro pregevole discografia, e che non conteneva nessun brano nuovo o di interesse che non fosse già edito, e poi una riedizione delle primissime canzoni, quelle, tanto per esser chiari, antecedenti "Wolfheart"?
Certo, parlando di "Under Satanæ", i brani sono stati remixati con la tecnologia di oggi, cui i Moonspell hanno attinto a piene mani, potendoselo permettere ovviamente, e suonano tutti belli tosti e pompatissimi, ma il sospetto che Ribeiro e soci vogliano prenderci beatamente ed apertamente per il sedere cercando di spillarci qualche quattrino in più resta, e non può che condizionare il giudizio di chi li ascolta o di chi ne scrive. Questo è il classico album da scaricare e non da comprare in originale, dedicato più agli estimatori di vecchia data che a tutti quelli che hanno conosciuto i Moonspell con "Sin/Pecado" o, più recentemente con "Memorial". E forse è stato proprio il successo di quest'ultimo a spingere la band a, come si dice, "cavalcare l'onda", visto che i Moonspell stessi ed ancora di più la loro casa discografica, si saranno accorti che il pubblico li segue con maggiore passione e numero quando interpretano i momenti più duri e bui del loro essere, che poi, a doverla dire proprio tutta, visto che siamo in vena di sfoghi, sono anche quelli più ispirati e ricchi di fascino.
Fatta questa lunga e perigliosa premessa, passiamo ai contenuti. Su questi, nessuno discute: le canzoni, per chi non le ha mai ascoltate in originale, sono tutte quante pregne di un piglio, di una passione morbosa ed animale, che le rende una più stupenda dell'altra. Niente sintetizzatori messi a bella posta a sostituire le sezioni armoniche, niente crepuscolarismo derivato dal vivere odierno, solo puro e "semplice" stile gotico che pesca in molteplici influenze: dal Black Metal di matrice nordica ("Serpent Angel"), al folclore mediterraneo tribale, caldo e sensuale del Portogallo, che si ravvisa, per esempio, nel prologo "Halla Alle Halla Al Rabka Halla (Praeludium/Incantatum Solistitium)", o in "Chorai Lusitânia! (Epilogus/Incantatam Maresia)", unico interludio acustico, forse il meglio riuscito della carriera dei Moonspell, di tutto il disco. Sciabordare del mare, una chitarra che riecheggia echi lontani e perduti, un incedere che si fa via via sostenuto nella sua semplicità. Ed è già tutto detto.
C'è posto però pure per il lato più intransigente e furioso della band, con brani che molto da vicino ricordano quello che i Moonspell saranno con "Wolfheart" e "Irreligious": un'entità blasfema e virile, dotata di un talento talmente grande da saper accordare concetti che nelle loro canzoni diventano l'uno il sinonimo dell'altro. Sicché morte, satanismo, sesso e lussuria, accompagnati da nostalgia e dolore fanno tutt'uno, e lo fanno in una maniera che sa bene affascinare e che non può non lasciare a bocca aperta.
Queste cose, naturale, fanno parte del retroterra della band, ma sono un chiaro segno, se si pensa ai tempi di allora, di quanto la loro versatilità ed il loro genio, siano stati un segnale di avvio per altre band che poi negli anni a seguire hanno spopolato. E non è uno scherzo. La classe sprizza da ogni nota, da ogni passaggio nelle canzoni, passando per l'umore brutale ed intransigente di episodi come "Tenebrarum Oratorium (Andamento I/Erudit Compendyum)" o come "Tenebrarum Oratorium (Andamento II/Erotic Compendyum)", a momenti finemente cesellati di sensualità e di lussuria accennata, come in "Opus Diabolicum (Andamento III/Instrumental Compendyum)", una delle canzoni più belle che i Moonspell abbiano mai composto, con una cadenza epica come non mai ed un andamento, verso l'inizio, quasi thrasheggiante.
Episodi. Storie che iniziano e finiscono nell'arco di pochi minuti, e che raccontano di amanti persi nel buio, di lupi famelici che cercano le loro prede in sentieri dall'atmosfera nebbiosa e sferzata dal vento, di Inferni che si aprono nella terra arsa dal sole del Portogallo, terribili e mai immaginabili in quei luoghi. Storie che narrano di tante cose. Originali, affascinanti, suadenti, ma sempre con un piede ben saldo in un goticismo lugubre e blasfemo, roccioso e ben mirato, che dona certamente un valore superlativo al preponderante bagaglio della band. Ne è un ulteriore esempio "Goat of Fire", forse il migliore brano del lotto, che è il riassunto e allo stesso tempo la summa del meraviglioso avvicendarsi d'atmosfere che quì passano.
Fate voi. Certamente i fans apprezzeranno questo lavoro, e in molti, sono pronto a scommetterci, lo difenderanno a spada tratta, trincerandosi nella qualità sublime del contenuto. Altri invece, volteranno la faccia e diranno dei Moonspell peste e corna, e nemmeno si potrà biasimarli, almeno in quest'ambito. Per conto mio apprezzo, ma permettetemi di non condividere. Avrei avuto più piacere nell'ascoltare qualcosa di nuovo che qualcosa di già sentito e digerito, ma tant'è. Anche il mio voto rispecchia il mio parere, come immagino sia giusto che sia. E questo mi fa molto male, lo confesso. Ma non lasciatevi fuorviare, rimane comunque una grande prova questa, e sono sicuro che ci sarà chi saprà apprezzarla e vederla in maniera diversa dalla mia. Ne sarò infinitamente contento.
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