Pensavo che, con l'avanzare dell'età, il mio difetto verso il rapping e l'hip hop si assottigliasse sempre più fino a diventare una mia prerogativa, un'esperienza totalmente inclusa nel mio bagaglio critico, un modo per colloquiare e cogliere le sfumature di una gioventù che mi sta sfuggendo dai polpastrelli callosi.
Le uniche incursioni rabbiose e crostificate viaggiano tra l'old school (Run DMC, Skinny Boys) i Beastie Boys e l'industrial noise dei Death Grips. Questi ultimi diventano la mia bussola per navigare le insurfabili onde dell'hip hop; così tra negazione e disgusto ogni tanto qualcosa esce dal mare (Pink Siifu, Nnamdi) e di un duo come i DG sono cio di cui voglio parlare oggi.
MOOR mother e mental JEWELRY vengono da esperienze diverse che conguagliano in True Opera: il cantato alla MC Ride e l'ossessione rancorosa e rauca di Mark E. Smith si mostrano centrali in questo progetto che non è altro che un modo di re-interpretare il post-punk ed il post-hardcore. Così i Wire, Sonic Youth, Drive Like Jehu, Fugazi, Big Black / Shellac, Mission of Burma, Jesus Lizard, Bad Brains, Unsane, Pixies, Wipers vengono sputati su un muro industriale e rumoroso, cesellato da soluzioni matematiche e stranianti, inseguitori del modello Black Midi ma con l'urgenza degli Idles (quelli del Brutalismo) un gruppo hardcore del quale avevamo estremo bisogno.
Le distrazioni salificano il mio essere. Resto paziente, spaziando e speziando la mia anima che vorrebbe un sussulto anche grigio, anche pluricromato, ma un sussulto.
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